Un paesaggio allo specchio

di - 5 Luglio 2013

Il Chianti è oggi terra di vino, di cibo e di turismo, la “storia” ha lasciato le sue tracce profonde con castelli, ville e pievi e il paesaggio, che nel corso degli anni si è fortemente antropizzato, ha subito e subisce ancor oggi trasformazioni notevoli.
È dal 1996 che grazie a Tusciaelecta e Arte all’Arte, progetto conclusosi anni fa, questo territorio si è via via avvicinato all’arte contemporanea, arricchendosi di opere temporanee e installazioni permanenti che hanno dato una connotazione diversa ai tanti borghi medievali che ne costellano i rilievi collinari dove la vite e l’olivo sono i protagonisti indiscussi.
A metà giugno è stata inaugurata una singolare installazione permanente di Dacia Manto a Tavarnelle Val di Pesa (a cura di Arabella Natalini), un agglomerato immerso nel verde del Chianti.
La piazza principale del paese con alberi e panchine è il cuore pulsante di Tavarnelle, qui i bambini giocano a pallone e gli anziani si ritrovano per scambiare quattro chiacchiere, qui si tiene il mercato settimanale e si svolgono le manifestazioni popolari. Lo spazio è delimitato da costruzioni vecchie e nuove, un moderno edificio che ospita il circolo Arci, l’ex palazzo del Podestà, case d’abitazione di più vecchia data, un connubio strano entro il quale l’artista ha posizionato, fissati ai tronchi degli alberi, una serie di specchi convessi e bruniti.

Questi specchi si rifanno ai Claude Glass utilizzati da Claude Lorrain, il pittore seicentesco noto per le sue raffigurazioni di paesaggio; da quell’epoca e per i due secoli successivi sono diventati un must per la rappresentazione degli scorci naturalistici. Venivano utilizzati sia dai pittori che dai viaggiatori tanto che questi singolari specchi erano di piccole dimensioni e facilmente utilizzabili all’occorrenza. Si tratta di una sorta di strumento ottico capace di distorcere il paesaggio e aberrarne la prospettiva così che un’ampia veduta risulti ridimensionata e più facilmente “contenibile” all’interno di un perimetro prefissato. Il fatto che questi specchi siano convessi permette dunque di modificare la visione del paesaggio mentre il fatto che siano scuri – per questo sono detti anche Black Mirror – altera la saturazione del colore rendendo la visione d’insieme con tonalità più vicine a quelle del colore-materia tipico della pittura invece che a quelle del colore-luce caratteristico del paesaggio naturale.

Alla base del lavoro che Dacia Manto propone a Tavarnelle, Claudeopsis (2013), ci sono dunque i Claude Glass che l’artista ha posizionato sulla piazza del paese a differenti altezze, sia per cogliere scorci inusuali e più difficilmente scrutabili, sia per permettere ad adulti e bambini di osservare il paesaggio circostante attraverso questi strumenti; si tratta, infatti, di filtri che permettono una visione dell’ambiente mediata, modificata e ricomposta secondo i canoni della pittura seicentesca. È dunque un modo per ridefinire lo spazio circostante senza mutazioni sostanziali; un modo per creare un’interazione tra il paesaggio, l’architettura e gli abitanti del borgo.
Anche se lo spazio di Piazza Matteotti è il fulcro attorno al quale si svolge tutta la vita del centro abitato e che quindi la maggior frequentazione da parte degli abitanti permette un più assiduo e stretto rapporto con il paesaggio circostante, il luogo che ha più profondamente ispirato l’artista a realizzare a Tavarnelle questo tipo d’installazione è il “boschetto” adiacente alla chiesa di Santa Lucia in borghetto. Si tratta di uno spazio verde alberato che si affaccia sulla vallata, un luogo un po’ appartato che si apre su un ampio panorama tipicamente toscano. La mediazione del Claude Glass permette di focalizzare squarci di paesaggio molto precisi e imponenti, quasi delle “cartoline” selezionate ad hoc, dai quali la presenza umana è totalmente esclusa.

Anticamente questi specchi erano oggetti “privati” che il pittore o il viaggiatore si portava dietro per scopi esclusivamente personali, qui, a Tavarnelle, i Claude Glass diventano oggetti pubblici che consentono agli abitanti, ai passanti ai curiosi di fruirne per interpretare privatamente l’ambiguità percettiva che il paesaggio propone.
Dacia Manto, pittrice e disegnatrice, con questa installazione sottrae la propria mano all’opera lasciando il ruolo predominante agli specchi che permettono dunque di mettere in luce i molteplici aspetti del paesaggio modificandone e variandone i punti di vista e proponendone di nuovi.
L’ambiente circostante viene riletto secondo una chiave inconsueta e a ogni fruitore viene concesso di entrarvi in contatto secondo percezioni individuali e attraverso strumenti ottici semplici, elementari ma inusuali. Specchi che si mimetizzano con l’ambiente nel quale sono inseriti ma che consentono di rifletterne l’insieme in modo singolare e diversificato a seconda delle variazioni atmosferiche o di luce, della sensibilità o dell’esperenzialità del singolo individuo. Il luogo dunque viene visto come “nuovo” esclusivamente per il fatto di essere percepito in modo diverso.

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