Urs Urs Urrah

di - 20 Settembre 2013
Il Cattelan svizzero, ovvero il provocatorio, eclettico, metamorfico, spettacolare Urs Fisher, quest’estate al Moca di Los Angeles ha lasciato a bocca aperta anche gli spettatori più blaseè con la sua pioggia di gocce di gesso blu e la casetta gigante di pane. E ora, il celebrato Urs Fisher (classe 1973), torna a violentare con grazia la realtà a colpi di geniali non-sense, nella sua prima grande personale in quello spazio ovale della Galleria Gagosian che già da solo rappresenta una notevole sfida.
Fumetto, innocenza infantile e sofisticata perversione che trasforma eros e thanatos in un momento squisitamente ironico e ancora matrici surrealiste, più vicine alla visionarietòà di un Dalì che all’intellettualismo Duchampiano, si intrecciano con un perfetto cromatismo pop, mentre il mondo favolistico e oscuro dell’infanzia travolge come un fiume in piena il fintamente rassicurante mondo degli adulti. Urs Fisher è un geniale affabulatore che affonda le radici del suo fare arte non solo nelle avanguardie storiche ma anche nella sorprendente visionarietà dell’architettura Barocca italiana, un momento artistico creativamente felice che ha visto l’invenzione dell’opera d’arte come colpo di teatro, visione inaspettata e avvolgente, quinta teatrale stupefacente e talvolta straniante.
L’entrata al primo piano della galleria è parzialmente chiusa da un muro che cambia completamente la percezione dello spazio espositivo creando quella famosa quinta teatrale, tanto cara al Barocco romano, che prepara il colpo d’occhio inaspettato della grande scultura argentea che riempie solitaria  il centro della sala espositiva. Se il dioscuro di Duchamp dei frenetici anni newyorkesi, ovvero il sublime Man Ray, introduce nel 1920 il concetto di “enigma” nel ready-made con l’opera L’enigme di Isidore Ducasse, un oggetto celato da una coperta e legato con lo spago ispirato ai versi del giovane poeta Isidore-Lucien Ducasse (alias Lautrèamont) “Bello come l’incontro fortuito sopra un tavolo di anatomia tra una macchina per cucire e un ombrello”, Urs Fisher compie la stessa operazione di spiazzamento visivo assemblando, in maniera apparentemente arbitraria, oggetti ed esseri viventi in una sorta di creazione da horror frankeinsteniano.
Un cavallo a grandezza naturale è fuso con un letto d’ospedale che esce dai fianchi del nobile animale in maniera incongrua e, allo stesso tempo, curiosamente naturale. Ecco realizzarsi davanti ai nostri occhi il fortuito incontro di due realtà animale e oggettuale che intersecandosi una nell’altra creano una visione tridimensionale in cui attrazione, la superficie di acciaio cromato e lucido è invitante ed esteticamente appagante, e repulsione convivono in eguale misura. Il corto-circuito non è solo visivo, sarebbe un’operazione banale per un’artista intellettualmente acuto come Fisher, ma, soprattutto mentale perché l’assurdo e incredibilmente bellissimo innesto di organico e inorganico attiva connessioni mentali e rimandi di senso decisamente complessi.
Già è straniante provare contemporaneamente attrazione e repulsione verso qualcosa che ha a che fare con il corpo, altra entità che ci gratifica e ci spaventa, le operazioni, la malattia, le sperimentazioni sugli animali ma forse un domani anche sugli umani, la possibilità fantascientifica ma in fondo reale di creare con il progresso scientifico degli ibridi in cui la carne è fusa con l’acciaio e allo stesso tempo la fascinazione che lo strano e talvolta il mostruoso producono perversamente in ognuno di noi. L’attrattiva è data dal materiale luccicante con cui la scultura è realizzata e che la trasforma in un immenso giocattolo per adulti mai cresciuti, chi si ricorda Mazinga robot mi capirà.
Urs Fisher è un prestigiatore che gioca con le nostre paure più nascoste, con gli incubi che hanno popolato quelle lunghe notti delle nostre infanzie che sono tutte diverse ma tutte dominate dalle stesse ansie: il buio, il diverso, i mostri. Fisher è il consapevole e intelligente creatore di una incredibile visione che ci racconta con un’immagine sola secca e violenta l’abisso del sublime, ma che cos’è il sublime? quella vertigine che ci terrorizza e ci attrae e che ci fa sentire vivi come quando ci sporgiamo da una finestra troppo alta. Se la percezione deve essere violentata ben venga il piccolo, delicate, mazzolino di fiori di campo che spande un’area di innocente grazia agreste, lui così reale vicino all’opera che giganteggia lì vicino raccontando la storia di un’ibrido irreale.
Nella parete di entrata il monumentale Problem Paintings ci mostra un volto di ragazza completamente coperto da un uovo, al primo piano altri due lavori di questa serie Real problem e Sloppy problem introducono un volto di uomo e uno di donna anche questi coperti dalla metà di un uovo sodo, di nuovo ironia, gusto per il grottesco, uno sberleffo alla ritrattistica ufficiale e a tutti i generi tradizionali della pittura (nature morte, ritratti, nudi e paesaggi) che da questo affascinante iconoclasta vengono rivisitati, saccheggiati e trasformati in una nuova grandiosa e travolgente visione.

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