Installation view Artwork © 2025 The Joseph and Robert Cornell Memorial Foundation/Licensed by VAGA at Artists Rights Society (ARS), New York. Photo: Thomas Lannes
Nel cuore di Parigi c’è una nuova camera della meraviglie, un tripudio di stampe, mappe, piume, biglie, giocattoli, conchiglie e così via. Si tratta di The House on Utopia Parkway: Joseph Cornell’s Studio Re-Created by Wes Anderson, concepita dal curatore Jasper Sharp insieme a Wes Anderson, grande regista statunitense di film come The Grand Budapest Hotel e The Royal Tenenbaums. La mostra trasforma la sede di Gagosian in rue de Castiglione in un’accuratissima ricostruzione in scala reale dello studio newyorkese di Joseph Cornell, segnando la prima personale dell’artista a Parigi dopo oltre 40 anni.
Joseph Cornell (1903–1972) è una figura anomala nella storia dell’arte del Novecento. Nonostante il suo essere privo di formazione accademica, Cornell è infatti riuscito a dar vita a uno dei linguaggi più poetici e influenti del secolo scorso attraverso collage, assemblaggi e, soprattutto, le sue celebri shadow boxes. Nel seminterrato della casa di famiglia a Utopia Parkway, nel Queens, Cornell raccolse per decenni una sterminata quantità di materiali trovati dando così vita a quello che chiamava il suo “dipartimento dei pezzi di ricambio”. Da questo archivio domestico nacquero opere capaci di influenzare generazioni di artisti, da Robert Rauschenberg a Damien Hirst, da Andy Warhol a Yayoi Kusama.
Le shadow boxes sono piccole teche o scatole vetrate in cui Cornell disponeva oggetti eterogenei secondo associazioni libere, poetiche e spesso enigmatiche. Più che semplici assemblaggi, funzionano come microcosmi: reliquiari della memoria, del desiderio e dell’immaginazione, in cui il tempo storico si mescola al sogno, alla nostalgia e alla fascinazione per il viaggio, il cinema, la danza e la letteratura.
Il progetto prende le mosse dalla casa di Utopia Parkway, nel Queens, dove Cornell visse e lavorò per gran parte della sua vita, costruendo uno degli immaginari più poetici e influenti del Novecento senza mai disegnare, dipingere o scolpire in senso tradizionale. Autodidatta, solitario e profondamente legato alla cultura europea — in particolare a Parigi, città che non visitò mai ma che abitò ossessivamente attraverso cartoline, guide, libri e I racconti del suo caro amico Marcel Duchamp — Cornell assemblò un universo fatto di scatole, oggetti trovati e immagini d’archivio.
È proprio questo mondo che Wes Anderson, insieme ad alcuni suoi collaboratori storici e alla exhibition designer Cécile Degos, riattiva nello spazio espositivo di Gagosian: oltre 300 oggetti originali compongono così una sorta di life-size shadow box, a metà tra capsula del tempo e set cinematografico. Non si tratta però di una ricostruzione filologica, bensì di una mise-en-scène che rispecchia l’affinità profonda tra l’estetica di Cornell e quella di Anderson: l’ossessione per il dettaglio, la catalogazione, la nostalgia come forma critica.
All’interno di questo ambiente trovano posto alcune delle più celebri shadow boxes dell’artista, tra cui Pharmacy (1943), ispirata a un mobile da spezieria ottocentesco e un tempo appartenuta a Duchamp, Untitled (Pinturicchio Boy) (c. 1950), dalla serie Medici, e A Dressing Room for Gilles (1939), omaggio diretto al Pierrot di Watteau conservato al Louvre, a pochi passi dalla galleria. Accanto a queste, una selezione di lavori incompiuti provenienti dal Joseph Cornell Study Center dello Smithsonian offre uno sguardo raro sul processo creativo dell’artista.
La mostra è visibile anche dall’esterno, attraverso la vetrina affacciata sulla strada: illuminato dall’interno, lo spazio diventa esso stesso una scatola di Cornell, evocando le notti insonni trascorse dall’artista nel suo studio.
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