In una breve rientranza d’un vicoletto di Via dei Coronari, una nuova galleria d’arte contemporanea si nasconde dietro un portone scuro, non ancora ben identificato; al suo interno, già da qualche giorno
Rory Logsdail (Londra, 1975) racconta, nella sua prima personale italiana, il minimalismo di un’arte geometrica e figurativa, in cui la ricerca pittorica esibita non sembra voler raggiungere alcun contenuto gestuale: il bianco primeggia sulla forma di un eventuale oggetto, di un’eventuale linea, ma soprattutto di altre eventuali tonalità.
Con
Into the silence, l’artista e film-maker inglese, primo ospite internazionale presso gli ambienti della Schiavo Mazzonis Gallery, parla di sé rivestendo tele di acrilici candidi e puri; strati su strati di colore bianco vengono stesi uniformemente su dieci quadrati lunghi e alti 75 centimetri, in cui linee orizzontali, minuscoli fori o rigonfiamenti appena accennati alludono delicatamente alla presenza di una geometria essenziale su una tela spessa 5 centimetri. La semplicità dell’atto pittorico, impoverito della frenetica contemporaneità creativa, cessa di essere gesto e amplifica la suo eco cromatica nello spazio del quadro, rimbombando di una sorda luminosità all’interno delle tre sale espositive, bianche anch’esse.
“
Si richiede un cambiamento nell’essenza e nella forma. Si richiede il superamento della pittura, della scultura, della poesia e della musica. È necessaria un’arte maggiore in accordo con le esigenze dello spirito nuovo”, scriveva
Lucio Fontana nel
Manifesto Blanco del 1946. E proseguiva: “
L’uomo è esausto di forme pittoriche e scultoree”. E se la ricerca della sua “arte nuova”, in grado di riunire la sintesi di movimento, suono e colore, si materializzasse proprio nelle tele di Logsdail?
Il bianco, somma unica di tutti i colori dello specchio elettromagnetico, è la perfetta concentrazione di un bilanciamento cromatico puro, punto d’incontro dello statico equilibrio del movimento cromatico centrifugato, vasta ricerca di perfezione al di là del costruito e del convenzionale accostamento di colori: un’arte nuova, che guarda oltre.
La ricerca di una quiete universale, oltre a essere attuata nei lavori su tela di cui l’opera
Stilness (2006) è portavoce, sembra rispecchiarsi in planimetrie geometriche stilisticamente mondriane, composte da esili linee entro cui campi di rossi, verdi acqua e gialli si alternano ritmicamente, mantenendo quella ricerca minimale dipinta di bianco nelle altre sale.
L’esposizione si colma di un silenzio accecante, in cui la dominante cerea permette al fruitore un livello di concentrazione tale per cui gli sfregi minimali che appaiono su alcuni lavori diventano visibilissimi, pur nutrendosi di una minutezza accurata, appena percepibile agli occhi. Una mostra in cui può essere visibile tutto senza che sia visibile niente; forse solo lasciando libera la mente umana di spaziare altrove, dentro e al di là del bianco della tela.
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Ottima mostra. Finalmente una galleria che osa andare oltre la solita mostra fatta solo di fumo e poco arrosto. Finalmente uno spazio a Roma con ottime potenzialità. Brave alle due galleriste. Complimenti!
Sono daccordo. Ottimo spazio e ottimi artisti. Ne vedremo delle belle. Nuovi scenari per l'arte contemporanea romana. Continuate così!!!!!! alla prossima