La Galleria VM21 ospita una mostra a cavallo di tre generazioni: Nanni Balestrini, uno dei fondatori del Gruppo 63 e goldiechiari, giovani protagoniste della ricerca contemporanea. Il fil rouge? La convergenza di temi e lo strabismo divergente -dal riflesso ingannevole- delle cose. Sotto traccia, il tema della città, più alluso che dichiarato espressamente. Balestrini lo intesse del suo materiale consueto: la parola, strumento polimorfo che spazia dal suono al segno, per incarnare l’essenza stessa del reale. Essere e linguaggio: un binomio indissolubile. Testare la validità dell’esperienza estetica prevede il feedback dell’altro, mediante lo scambio dialettico. L’idea di città si apre, nelle riflessioni degli artisti, ad una varietà di significati, emersi dal loro accostamento. I collages e le fotografie di Balestrini riassemblano in vedute improbabili alcuni luoghi comuni del paesaggio italiano: monumenti e scorci celebri, accompagnati da slogan che attingono al gergo del marketing più selvaggio. Le rappresentazioni cartografiche, frutto di un immaginario liberamente manipolatorio, alludono all’essenza costruita e inautentica del paesaggio antropizzato, su cui s’innesta, arbitrariamente, il linguaggio.
Artificio pre-tecnologico, soppiantato da quelli più invasivi e patogeni della modernità. A testimoniarlo i lavori di goldiechiari, parabola ecologista disincantata e spiazzante. Le stampe fotografiche sono il set di una fiction storico-artistica, ambientata a Giverny. Sfortunatamente, al posto delle ninfee di Monet, vediamo galleggiare fiori di plastica su una pozzanghera torbida ed inquinata. Il trash diventa metafora del mondo contemporaneo, punto di non ritorno del consumismo. La spazzatura è il fine ultimo dell’antropocentrismo; la doccia fredda dopo il delirio di onnipotenza. Il recupero del rifiuto in un contesto nobile mima l’analogo processo di riciclaggio dell’estetica pubblicitaria: dalla discarica al glam. Il video del duo femminile propone una situazione altrettanto paradossale. L’immagine di un fiume scrosciante, letteralmente infestato di rifiuti, mostra il suo aspetto più degradato; il sonoro, unico elemento non intaccato dall’uomo, è estrapolato e reso fruibile separatamente, come in un una riserva percettiva.
Le cuffie spingono ad isolarsi e a sintonizzarsi con il battito del fiume, nonostante il funerale di plastica che scorre nelle sue acque spumeggianti e tumultuose. Reportage, o rimpianto di un’Arcadia perduta?
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