Più evidente di così rischia di passare paradossalmente
quasi inosservato: sono ormai settimane che il Macro Future contiene
l’esplosione culturale dei sessanta giovani artisti americani provenienti da
New York. C’è chi gravita a Manhattan, chi in Providence o San Francisco, Los
Angeles o ancora Portland, addirittura Tokyo.
Ognuno di loro è stato chiamato in causa per inaugurare la
stagione espositiva dell’ex mattatoio dopo un anno di singhiozzanti
aggiornamenti. L’avevamo lasciato infatti a maggio con l’itinerante mostra
Italian
Genius: Back to Rome curata da Marco Bazzini, direttore artistico del Pecci di Prato e, anche in
quel caso, i suo ampi spazi contenevano una mole di lavoro collettivo tematico
non indifferente.
Con l’arrivo del nuovo direttore Luca Massimo Barbero, le
due sale di piazza Giustiniani si ritrovano a ospitare il panorama
over e
underground d’oltreoceano. La mostra è figlia
della Depart Foundation, il nuovo progetto artistico con sede italiana nell’hinterland
romano, che gode di un board interessante e versatile, composto da Russel
Ferguson, Andrea Bellini, Mario Cristiani, Davide Quadrio, Reto Geiger, Kathy
Grayson, Mark Lee, Stefan Simchowitz e Luca Lo Pinto.
L’anima della fondazione, che intende supportare l’arte
contemporanea internazionale attraverso workshop e residenze, è stata in grado
di creare un centro nevralgico di attrazione piacevolmente esagerata. L’ondata
di pubblico che ha affollato l’inaugurazione e le prime settimane di apertura
rivela i primi passi verso il traguardo della missione: agevolare la
fidelizzazione del pubblico nei confronti dell’arte.
È dunque la volta di Kathy Grayson.
New York Minute: 60
Artist on the New York scene raccoglie un panorama artistico assolutamente variegato
ma frutto di una sensazione sociale uniforme: l’icona dell’apparire e il
retaggio di una cultura pop anni ‘50 serpeggiano in ogni lavoro,
dall’installazione invadente alla serie di polaroid in fondo alla sala.
Ciò a cui il fruitore è sottoposto è la violenza visiva
dell’espressività americana: l’installazione in larga scala di ombrelli
roteanti all’ingresso mette subito il visitatore in uno stato di subordinazione
alla vista, insieme subdolo e affascinante, che gli permette di arrestarsi il
tempo necessario per incuriosirlo a capire cosa c’è dietro. Le lingue di legno
incasellate di
Ara Peterson brillano il loro acrilico in vista di una nuova
astrazione, mentre
street punk e
wild figuration dialogano tra i collage somatici di
Aurel Schmidt e le pin up sbrodolanti di
Francis
Spiegel.
Il colore sgrana ed esplode, si contorce, e la cultura
americana investe il visitatore. Che viene inglobato dalla velocità e dalla
reazione/azione artistica dei lavori che lo circondano. Queste le nuove
tendenze newyorchesi, stravaganti conoscenze da approfondire.
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Kathy Grayson lavora per Deitch, ricordiamocelo. Ricordiamo anche l'attenzione espressa da flash art per questa mostra e che Joeffry è stato il primo editor americano della rivista. Poi, già che ci siamo chiediamoci perchè una gallerista cura una mostra in un museo pubblico e poniamo attenzione al prestigioso board della depart.
recensione fin troppo "diplomatica"...o forse io ho visto un'altra mostra....
ah ah, su art a parto culture, il magazine on line la tua collega l'ha tranciata in pezzetti gustosi, questa mostra... Ma che, voi due, giocate a rimpiattino????!
ma basta!
ce ne fossero di mostre così