Roma, 1992. L’incendio di una falegnameria nel quartiere San Lorenzo arriva fino al vicino deposito della Collezione Jacorossi e avvolge circa sessanta opere di maestri dell’arte italiana contemporanea.
Da quella che poteva essere una tragedia escono, completamente rinnovate dal contatto con il fuoco, opere nuove agli occhi degli artisti stessi, tanto da far esclamare a
Mario Schifano (autore, tra le altre, di
Nottetempo, 1990, e
Cruise to infinity, 1990, in mostra): “
Non le toccate, sono più belle di prima!”.
Achille Bonito Oliva, curatore dell’esposizione, parte proprio da questa spontanea esclamazione per proporre al pubblico le 24 opere di maggior formato coinvolte nell’incendio. Spiccano i nomi di
Gino de Dominicis (
Senza titolo),
Enzo Cucchi (
Senza titolo, 1988), Mario Schifano e Giulio Aristide Sartorio (
La sera nella campagna romana, 1902, e
La mattanza, 1906).
Nessuna o quasi delle opere ha subìto restauri reintegrativi, anzi spesso neanche i più elementari interventi di raccordo tra due parti, proprio a causa della consapevolezza del maggior impatto emotivo prodotto dal fuoco. Il calore, infatti, ha interagito in profondità con i vari lavori e in un istante è stato in grado di cancellare le differenze estetiche, temporali e materiali che caratterizzano gli artisti in questione, creando un’opera che travalica, anche violentemente, le singole intenzioni originarie e che quindi vale per se stessa.
La scelta, felicissima, del foyer dell’Auditorium, luogo di sosta e passaggio per eccellenza, è stata probabilmente motivata dal voler mostrare un’arte che sia specchio del suo tempo, che possa uscire dai tradizionali spazi espositivi, persino da quelli all’avanguardia delle gallerie più à la page, e mostrarsi in ambienti di grande transito, in cui possa diventare un’esperienza non solo visiva, ma anche coinvolgente dal punto di vista spaziale.
Ecco allora i due altissimi
Per esempio di Schifano (1990), il suo
Male (1990) e i due
Sartorio molto lacunosi, direttamente appoggiati alle pareti, senza cornici, senza pannelli integrativi, come se il tempo e il fuoco li avessero appena dipinti.
Molti interrogativi vengono sollevati da questa breve passeggiata nell’anello che immette nelle ampie sale per concerti dell’Auditorium: l’arte contemporanea prevede già, al momento della sua creazione, il deterioramento? E può questo deterioramento essere considerato parte integrante dell’opera, frutto del “
tempo pittore”, come scriveva Brandi o, in questo caso, del fuoco pittore?
Con questa operazione, Bonito Oliva stimola molte riflessioni e risponde limitandosi a presentare ai nostri sguardi queste opere-“
reliquie”. Chissà se il convegno internazionale che si terrà al termine della mostra riuscirà a chiarirci le idee…
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Ma non è per caso che il buon vecchio Achille, con questa operazione, cerchi di storicizzare delle opere palesamente e gravemente deturpate di proprietà di un grande colelzionista?
Povero Gino, buttato in terra in quella cassa...e pensare che quelli della fondazione fanno problemi per pubblicare le opere.