Categorie: rubrica curatori

CURATORIAL PRACTISES

di - 28 Dicembre 2015
Jonatan Habib Engqvist è un curatore indipendente e un teorico. Attualmente è co-curatore di Tunnel Vision, La 8° Biennale Momentum, a Moss, in Norvegia; di No Bad Days al Kalmar Art Museum e della residenza curatoriale CRIS a Stoccolma, in Svezia. Ha insegnato in molte Università e accademie del Nord Europa. I suoi testi sono stati pubblicati in molte riviste d’arte ed è editore per tsnok.se. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Studio Talks: Thinking Through Painting,  Arvinius+Orfeus, 2014; In Dependence – Collaboration and Artists´ initiatives, Torpedo Press, 2013; Work, Work, Work – A Reader on Art and Labour, Steinberg Press, 2012.
Momentum Nordic Biennial of Contemporary Art opera in uno specifico contesto Nordico. L’ottava edizione esplora la “visione a tunnel”; come condizione culturale ed artistica. Puoi introdurci questa edizione?
«Momentum 8 aspira a migliorare la sensibilità di un certo tipo di percezione. In altre parole, noi non chiediamo agli artisti di illustrare una tesi. Ci concentriamo sugli artisti e i produttori culturali i quali creano mondi e seguono i loro pensieri fino in fondo. Guardiamo anche alle prospettive della vita che si intrecciano tra loro e determinano il nostro modo di intendere il mondo. A causa dell’aumento delle velocità di impressioni, lo sguardo diventa più centralizzato con un preciso effetto e il nostro campo visivo inizia a sfuocare ai bordi. In entrambi i termini, letterali e allegorici, questa costrizione provoca la perdita della vista periferica mentre è in grado di aumentare la consapevolezza sensoriale nell’area di messa a fuoco, rendendoci anche molto paranoici. Forse lo sviluppo sociale e tecnico richiede che la macchina sia integrata al corpo, o forse i nostri corpi sono già in una fase di aggiornamento attraverso la tecnologia protesica o i farmaci. Nel linguaggio quotidiano, questa che chiamiamo “visione a tunnel” letteralmente designa la visione priva di dello spettacolo periferico ed è una figura usata per parlare della ristrettezza mentale. In questo modo, si potrebbe dire che la “visione a tunnel” rappresenti una vista senza il mondo. Posso dire che Momentum 8 designa la visione di un mondo interiore. C’è un mondo fantastico nelle nostre teste! Così, contro il paradigma che interpreta gli artisti creatori sensibili nei confronti dell’apertura assoluta al mondo, abbiamo scelto di indagare uno specifico tipo di logica e la “visione a tunnel” in gioco in molte pratiche artistiche. A differenza della retorica utilizzata da molte biennali attuali, abbiamo scelto una tematica non condivisibile, ma assolutamente personale. D’altra parte credo che si possa dire che stiamo suggerendo il mondo in cui viviamo oggi!»

Potresti parlarci di alcuni dei lavori realizzati?
«Sissel Tolaas ha realizzato un profumo per la biennale and Zahla ha prodotto una soundtrack; tutti e due forti induttori nello stato visionario del tunnel. Edward Schenk ha realizzato una serie di tre trailers che, attraverso la teoria del complotto, rivelano i collegamenti noti e sconosciuti tra la biennale di Moss, l’industria di petrolio della Norvegia, il deposito di sedimenti a Svalbard, Ragnarök e altro ancora. Valia Fetisov insieme a Dzina Zhuk e Nicolay Spesivtsev hanno creato l’applicazione paranioapp, che consente di seguire gli altri utenti a discapito di rischiare di essere a sua volta inseguiti. Christine Ödlund ha creato delle vetrate e una “torre di Babele” con ortiche e larve di farfalla. Fujiko Nakaya ha realizzato una camera di nebbia di 200 metri quadrati che ti avvolge completamente, mentre Lundahl e Seitl indagano la percezione dei visitatori e le loro modalità di fruizione dell’opera».
Quali parametri avete utilizzato per scegliere gli artisti per la Biennale?
«Prima di tutto devo dire che quando si tratta di “nordico”, è importante sottolineare che le idee di rappresentanza nazionale sono diventate obsolete e problematiche. Per me, e credo anche per gli altri co-curatori, “nordico” non è una questione di rappresentanza nazionale o di un certo stile. L’arte è rilevante sia a livello locale che globale, lo è a volte per motivi diversi. E ciò rende possibile mantenere un’idea di “arte Nordica”. L’arte nordica è una struttura e un ambiente specifico. Nel caso di Momentum 8 per esempio, abbiamo scoperto che un salone internazionale e intergenerazionale è l’unico modo possibile per riconoscere l’ambiente locale».

Che esperienza è stata lavorare a questa Biennale con gli altri tre curatori?
«A livello pragmatico il processo è stato molto organico. Il concetto e la lista degli artisti si è sviluppata in simbiosi. Abbiamo una buona chimica nel team curatoriale, un forte senso di fiducia, e avevamo istituito una serie di linee guida ben definite prima di cominciare. Volevamo mantenere ristretto il numero degli artisti, al fine di dare loro più spazio, e sapevamo che volevamo concentrarci sulle commissioni, abbiamo voluto lavorare con un registro sensoriale che comprende anche il profumo, il tatto, i suoni, ecc … Il fattore importante è l’avere deciso con una paternità collettiva su tutto: dalla mostra, ai testi del catalogo, alla lista degli artisti; così abbiamo potuto concentrarsi sul contenuto, usare i nostri punti di forza individuali e questo ci ha dato una chiara idea sul tipo di pratiche artistiche che stavamo cercando».

Come valuti la collaborazione tra gli stati scandinavi nei vari progetti d’arte visiva, ci sarebbe secondo te la necessità di organismi di finanziamento più istituzionalizzati?
«Ci sono alcune strutture di finanziamento piuttosto consolidate tra i vari Paesi nordici e le agenzie nazionali di finanziamento che supportano lo scambio. In effetti, questa Biennale ha ricevuto aiuti sostanziali dai vari organismi di questo tipo. Molte di queste strutture sostengono in modo equivalente le varie realtà, e gli artisti nelle collaborazioni istituzionali. Questo ultimo in particolar modo trovo sia un elemento molto importante. Al momento ritengo sia una strategia vincente; ma preferirei non diventasse troppo istituzionalizzata».
Come è cambiata nel tempo la tua pratica curatoriale, e dove si è spostata la tua ricerca?
«Penso di essermi bloccato dentro il tunnel, a immaginarmi parte di questo cambiamento, quindi ho difficoltà a vedere dall’esterno. Un curatore è colui che comprende l’attualità. Allo stesso tempo, vi è una forma di specializzazione nella quale i curatori diventano estremamente indotti già durante la loro formazione. Mi auguro che questo non significhi che la curatela comporterà l’avvicinarsi sempre più all’amministrazione e alle gestioni; ad esempio sempre più i vari organismi di controllo vogliono conoscere i dettagli su come i soldi vengono spesi. Sarebbe uno spreco terribile, se ci fermassimo a sperimentare per poi diventare degli specialisti della burocrazia».
@https://twitter.com/camillaboemio

Scrittrice d'arte, curatrice e teorica la cui pratica indaga l'estetica contemporanea; nel 2013 è stata curatrice associata di Portable Nation, il padiglione delle Maldive alla 55.° Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia, dal titolo Il Palazzo Enciclopedico; nel 2016 è stata curatrice di Diminished Capacity, il primo padiglione della Nigeria alla XV Mostra Internazionale di Architettura, con il titolo Reporting from the Front; nello stesso anno ha partecipato a The Social (4th International Association for Visual Culture Biennial Conference) alla Boston University. Nel 2017, ha curato Delivering Obsolescence: Art Bank, Data Bank, Food Bank, un Progetto Speciale della 5th Odessa Biennale of Contemporary Art. E’ membro della AICA (International Association of Arts Critics). Boemio ha scritto e curato libri; ha contribuito con saggi e recensioni a varie pubblicazioni internazionali, scrive regolarmente per le riviste specializzate, e i siti web; ha tenuto parte a simposi, dibattiti e conferenze in musei e festival internazionali.

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