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Crash Test, atto terzo. Torna a Milano l’esperimento pre-espositivo che dura una sera soltanto. Ne abbiamo parlato con l’ideatrice, Simona Squadrito

di - 26 Aprile 2015
Si avvicina il terzo appuntamento di ȾɍW.O.W.Ҍ – Crash Test (trwowb.tumblr.com), che martedì ospiterà a Milano i Pop_X, con la puntata “Il centro dell’essere”. Nella Crash Test Room di via Arquà la band italiana di musica elettronica sarà il primo gruppo musicale a essere “testato” come si testano (con il giudizio, l’esposizione e il pensiero del pubblico) le opere in progress secondo la filosofia di Crash Test.
Ma come mai stavolta il percorso si fa ibrido? E cosa si potrà scoprire in questo spazio che sta diventando, via via, uno dei luoghi più alternativi della scena milanese? Ne abbiamo parlato con Simona Squadrito, ideatrice del progetto.
Che cosa sarà testato e per quale motivo la scelta è ricaduta su una band, considerato che non stiamo parlando di artisti in senso stretto, cioè legati a un circuito di mostre e gallerie?
«La ricerca musicale di Pop_X sconfina anche nella produzione di immagini e videoclip. Inizialmente avevo proposto loro di agire in un contesto istituzionale, una galleria. Sono stati loro stessi a preferire lo spazio della Crash Test Room di via Arquà. Ho trovato significativo questo gesto di affrancamento da una sede istituzionale che avrebbe certo dato più risonanza al loro intervento. Questo prossimo Crash Test sarà una scommessa: verrà testata la loro capacità di confrontarsi con un ambiente diverso. I Pop_X non terranno un concerto, ma interpreteranno a loro modo il progetto a cui sono stati invitati. L’idea è quella di trasformare, in uno stile estremamente kitsch, la Crash Test Room in una via di mezzo tra un centro benessere e la Love Boat. Queste le informazioni che ho, il resto sarò io stessa a scoprirlo il giorno del test».
ȾɍW.O.W.Ҍ – Crash Test è un momento di collaudo di un’opera incompiuta, di un’idea non ancora formalizzata. Questa condizione fa sì che il pubblico si senta più libero di dire la sua su quello che ha davanti perché ciò che sta guardando non ha ancora assunto lo statuto di vera e propria opera d’arte. In questo modo, l’artista può testare la portata effettiva della sua opera in divenire e migliorare il colpo nel caso in cui fallisse in un primo momento. Considerando che nel processo di produzione di un’opera d’arte il pubblico riveste il solo ruolo di fruitore ultimo dell’opera, già chiusa e inserita nella sede espositiva, perché nel tuo progetto è così importante rimettere al centro lo spettatore?
«Tengo a precisare che lo spirito con cui si affronta il Crash Test è molto dinamico e leggero. Si affronta il progetto come se fosse un’avventura e un momento di crescita e miglioramento del lavoro. All’inizio pensavo fosse più semplice avvicinare il pubblico al lavoro di un artista in modo autentico e partecipativo. Adesso, invece, alle soglie del terzo Crash Test, capisco che la questione è più complessa. I tentativi che sono stati fatti in merito alla partecipazione attiva del pubblico non hanno portato a dei risultati soddisfacenti. È una sfida difficile sia per lo spettatore – che non si trova comodo nei panni di agente e fa sempre più fatica a manifestare un atteggiamento critico su ciò che vede –, sia da parte dell’artista, che raramente riesce a sbarazzarsi della propria autorità e a esporsi al pubblico con un progetto non ancora definito. Il pubblico dovrebbe essere il migliore alleato dell’artista: se fosse più cosciente e attivo forse alcune cattive dinamiche del sistema dell’arte potrebbero rallentare, e l’arte stessa liberarsi dal giogo delle speculazioni». Chi avrà il coraggio di dire la propria? (Dario Giovanni Alì)

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