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Quando il movimento diventa atto politico. Massimo Carosi ci parla del Festival Danza Urbana

di - 6 Settembre 2018
Dal 4 settembre, a Bologna, è iniziata la XXII Edizione del festival Danza Urbana che animerà il centro della città felsinea e Monterenzio, fino al prossimo 9 settembre. Abbiamo raggiunto il direttore artistico, Massimo Carosi, per saperne di più.

Siamo giunti alla 22esima edizione di Danza Urbana, come nacque l’idea di questo festival?
«Danza Urbana è nato ventidue anni fa da un circolo di danza di studenti universitari, che desiderava portare i linguaggi contemporanei della danza a un pubblico più ampio rispetto a quello che abitualmente frequentava i teatri. Allo stesso tempo, voleva sperimentare le innumerevoli traiettorie che la relazione tra corpo e spazi urbani apre alla ricerca coreografica e investigare il valore e la funzione di questa arte nella ri-definizione del nostro habitat, delle modalità di fruizione dello spazio pubblico e della piena affermazione del diritto alla città. Per questi universitari è stata una straordinaria opportunità di essere protagonisti di una nuova progettualità, aperta all’emergente e a tutto ciò che fino ad allora avevano osservato come spettatori e studenti. L’idea in concreto nacque dopo la creazione di una performance itinerante per le strade di Bologna nel 1996, esito di un percorso laboratoriale, che ottenne un grande riscontro di pubblico e che permise di intravvedere le possibilità che lo spazio urbano offriva alla promozione di questa arte».
Il fil rouge di una pacifica espressione del disagio politico caratterizza l’edizione 2018: il Mediterraneo spettatore e protagonista. È un pacato grido di allarme?
«Il Mediterraneo è un’area del mondo che in questi decenni è stata protagonista di importanti movimenti politici, religiosi, sociali, conflitti, migrazioni e crisi economiche. Fenomeni che, come onde, hanno attraversato il mare da una sponda all’altra, impattando in modo differente su ciascun paese. In questa instabilità ci sembra importante preservare quell’attitudine all’incontro e allo scambio fra popoli, culture e conoscenze propri di questo “mare fra le terre”, che è un fattore fondamentale della matrice culturale e identitaria a cui apparteniamo. La danza in molti contesti ha assunto una dimensione di resistenza politica ai fenomeni di chiusura e di oscurantismo. Il Festival Danza Urbana si interroga sul momento che stiamo vivendo attraverso lo sguardo degli artisti, le loro creazioni, le riflessioni che vengono sviluppate negli incontri con il pubblico, sollecitando un’elaborazione critica di questi fenomeni».
L’interazione tra paesaggio urbano e coreografia è frutto di una ricerca sul luogo o l’adattamento di una performance?
«L’interazione tra coreografia e spazio urbano nasce da tanti possibili percorsi di ricerca. In molti casi è il luogo a determinare la creazione coreografica, come per esempio nel site-specific dance-work, o l’artista decide di performare lo spazio dato. In altri casi la coreografia è pensata per abitare luoghi differenti, come nelle creazioni di strada o per progetti artistici che mantengono una struttura aperta per includere il contesto all’interno del processo creativo. In questa edizione Cristina Kristal Rizzo con ULTRAS – Sleeping dances abita in quattro giornate del Festival quattro luoghi differenti con l’intento non di modificare la coreografia, ma di vedere come la sua scrittura venga percepita in modo diverso in contesti diversi, chiedendo allo spettatore uno sguardo capace di adattarsi e carpire le differenze che lavorano nella performance, come il variare della luce e dei luoghi incidono sulla spettatorialità. Solo in alcuni casi la creazione viene adattata e riallestita per un luogo. La danza urbana non è un genere o un formato spettacolare, ma un ambito della scena contemporanea dove la danza abita luoghi precisi della città, sottraendosi a un’idea astratta di spazio».
La prossima edizione è già in cantiere, che direzione prenderà il festival?
«La progettazione di una nuova edizione del festival parte molto tempo prima. Il programma è sempre l’esito di un lavoro costante di osservazione, scouting, costruzione di relazioni che permette di individuare sempre ciò che emerge dagli artisti, dal contesto sociale e culturale nel quale interveniamo. Al momento non so ancora quale direzione prenderà la prossima edizione. Infatti siamo ancora alla fase di raccolta e di ideazione dove vengono messe in campo tante ipotesi. Tuttavia alcune linee guida rimangono in essere, in particolare la sua funzione e il suo ruolo di sguardo aperto sulle scene emergenti in Italia e nel mondo, e la volontà di rappresentare un laboratorio di nuovi formati della scena».
Qui il programma completo del Festival. (Vincenzo D’Argenio)
In home: ©Cristina Kristal Rizzo
In alto: How to destroy your dance, ph. Camilla Caselli

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