METADIETRO foto Flavia Mastrella
In Scena è la rubrica dedicata agli spettacoli dal vivo in programmazione sui palchi di tutta Italia: ecco la nostra selezione della settimana, dal 9 al 14 dicembre.
Antonio Rezza e Flavia Mastrella, tornano sul palco del Teatro Vascello di Roma con la loro nuova creazione METADIETRO (dal 2 dicembre all’ 11 gennaio 2026), un viaggio visionario che, tra surreale ironia e crudele comicità, affronta il rischio costante dell’abisso e l’illusione di una possibile salvezza, indagando l’essenza dell’umanità attraverso l’epopea paradossale di un veliero-navicella spaziale, un ammiraglio vestito di blu e un equipaggio alla deriva.
L’ammutinamento è sempre auspicabile in un organismo sano. Un ammiraglio tenta di portare in salvo la sua nave spalleggiato da una frotta che lo stordisce con ossessioni di mercato: la salvezza di chi ti è vicino non è la via di fuga per chi vive delle proprie idee. In ogni caso nessuno è colpevole, c’è solo un gran divario nello stare al mondo. Tra visioni difformi si consuma l’ennesimo espatrio, che non è la migrazione di un popolo, ma l’allontanamento inesorabile dalla propria volontà.
«Non è il bello a essere desiderabile, ma piuttosto il vero. Soul Threads esplora come raggiungerlo attraverso il corpo che, in quanto danzatore, è lo strumento della mia anima». Così Friedemann Vogel introduce la performance di cui è coreografo e interprete. Nata dalla collaborazione con Thomas Lempertz, che firma scene e costumi, questa nuova creazione ispirata a Sul teatro delle marionette di Henrich von Kleist, ha l’intento di esplorare gli opposti (robot-anima, artificiale-naturale, leggerezza-gravità, dover essere-essere, perfezione-imperfezione, inanimato-animato, meccanicità-caso) in un parallelo tra marionetta e danzatore, entrambi interpreti della visione di qualcun altro.
Il saggio pubblicato nel 1810 si inseriva in un fervido dibattito dell’epoca, quello sul tema della grazia. Von Kleist, tra i più grandi drammaturghi e poeti della letteratura tedesca, lo affronta nel dialogo tra il narratore e un ballerino. Dal loro confronto su chi sia superiore tra la marionetta e il danzatore si arriva a comprendere la concezione di Kleist della grazia: la perfezione dei corpi e, attraverso essi, dell’anima.
A distanza di oltre vent’anni lontano dalle scene, torna il capolavoro eduardiano, Sabato, domenica e lunedì nel nuovo allestimento firmato da Luca De Fusco che si insinua nelle pieghe della drammaturgia originale per offrire un affresco vivido sulle dinamiche, i segreti e le tensioni intime di una famiglia. Un ritorno all’intramontabile commedia di Eduardo De Filippo, scritta nel 1959, che intercetta il nostro tempo, in equilibrio perfetto tra acuta ironia e crescente conflittualità, esplorando i meccanismi delle relazioni parentali che si agitano attorno a un pranzo domenicale.
Il testo, «Il più borghese e quasi cechoviano di Eduardo», come sottolinea De Fusco – delinea il racconto di un momento di equilibrio sociale oggi perduto, tra le mura di una grande casa della numerosa famiglia Piscopo, che abbraccia tre generazioni: il nonno Antonio Piscopo, i due coniugi Peppino Priore e Rosa, i figli, e la classica zia “zitella”, Amelia Priore, personaggi che troveranno poi nella riconciliazione un simbolo di compattezza di fronte alle difficoltà.
“Sabato, domenica e lunedì” di Eduardo De Filippo, regia Luca De Fusco, con Teresa Saponangelo, Claudio Di Palma, Pasquale Aprile, Alessandro Balletta, Anita Bartolucci, Francesco Biscione, Paolo Cresta, Rossella De Martino, Renato De Simone, Antonio Elia, Maria Cristina Gionta, Gianluca Merolli, Domenico Moccia, Alessandra Pacifico Griffini, Paolo Serra, Mersila Sokoli; scene e costumi Marta Crisolini Malatesta, luci Gigi Saccomandi. Produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Teatro Stabile di Bolzano, Teatro Biondo di Palermo, LAC Lugano Arte e Cultura. A Roma, Teatro Argentina, fino al 4 gennaio 2026.
Roma. Due ragazzi uccidono un coetaneo. Senza un perché, un delitto vero, feroce, inspiegabile, La città dei vivi è uno spettacolo che non dà tregua: racconta un crimine, ma parla di tutti noi. È la storia di una città che ci somiglia troppo. Di un male che non ha volto, perché può averne mille.
La città dei vivi, liberamente ispirato al romanzo best seller di Nicola Lagioia, con la regia e l’adattamento drammaturgico di Ivonne Capece (a Torino, Teatro Astra, dal 9 al 14 dicembre, e a Bologna, Arena del Sole, il 18 e 19) gioca sull’alternanza tra presenza e assenza: gli attori in carne e ossa (Sergio Leone, Daniele Di Pietro, Pietro De Tommasi, Cristian Zandonella) si confrontano con presenze virtuali, proiezioni e ologrammi che ampliano lo spazio scenico in una dimensione sospesa tra teatro e videoarte.
Pochi oggetti, un presente distorto, la voce come strumento musicale, un corpo fremente e scomposto. Sono gli elementi della nuova esplorazione artistica della coreografa e performer Michela Lucenti su una delle figure femminili più contraddittorie della tragedia classica, Giocasta, la madre di Edipo. A partire da una ricerca antropologica sul mito, la pièce Giocasta (a Bologna, Teatro delle Moline, dall’11 al 21 dicembre) si ispira a La voce umana di Jean Cocteau e all’ultima versione delle Fenicie di Euripide, per raccontare lo sguardo femminile sull’orrore della guerra, toccando i temi del potere e dell’ambizione. La storia dell’amore incestuoso tra Giocasta e Edipo, interpretato dal giovane cantautore e performer Thybaud Monterisi, manifesta qui la sfida alle convenzioni della società patriarcale.
Testo della scrittrice francese Yasmina Reza, Carnage. Il dio del massacro ritrae un interno borghese parigino dove “regna un’atmosfera compunta cordiale tollerante” che ben presto si esaspera virando su toni crudi e feroci. La dinamica è quella di una doppia coppia di genitori che hanno appena fatto conoscenza e si incontrano per cercare di risolvere – da persone adulte e civili quali essi ritengono di essere – una questione che inizialmente pensano di minimizzare: una lite scoppiata ai giardinetti tra i rispettivi figli di undici anni. Ma, a poco a poco, le maschere di benevolenza, tolleranza, buona creanza, correttezza politica, apertura mentale e dirittura morale si sgretolano. E sotto quelle maschere appare il ghigno del nume efferato e oscuro che ci governa sin dalla notte dei tempi: il dio del massacro, appunto.
“Carnage. Il dio del massacro”, da Le dieu du Carnage di Yasmina Reza, traduzione Laura Frausin Guarino e Ena Marchi, regia Antonio Zavatteri, con Francesca Agostini, Andrea Di Casa, Alessia Giuliani, Antonio Zavatteri; scene e luci Nicolas Bovey, costumi Anna Missaglia. Produzione Teatro Nazionale di Genova. A Genova, Teatro Eleonora Duse di Genova, dal 2 al 14 dicembre, poi in tournée nel 2026.
Gaza, Ucraina, Afghanistan, Iran e così molti altri paesi, nomi che scorrono sul nastro della Grande Storia senza dare mai voce a chi quel dramma lo vive quotidianamente, le persone comuni. Così nasce Crescere, la guerra (al Teatro Superga di Nichelino (TO), il 12 dicembre), il primo spettacolo della giornalista e inviata di guerra Francesca Mannocchi sul palco con il musicista e compositore Rodrigo D’Erasmo. Come è possibile unire la Storia con le storie ordinarie delle persone che ogni giorno fanno i conti con la crudeltà della guerra? Cercando nonostante tutto di mantenere e salvaguardare ciò che di più caro resta vivo: l’umanità.
Dopo anni di intenso lavoro su diversi fronti di guerra Mannocchi sceglie un nuovo modo di raccontare il dramma e il dolore che si cela dietro ogni conflitto, creando, assieme alle note di D’Erasmo, uno spettacolo teatrale che parla del continuo stato belligerante del nostro mondo, ieri e oggi. Puntando i riflettori sull’unica salvezza: il futuro.
Coreografo attivo in tutto il mondo, Mauro Bigonzetti rilegge per la pluripremiata MM Contemporary Dance Company, diretta da Michele Merola, l’eterna fiaba de Lo schiaccianoci in chiave contemporanea, dando corpo a un racconto coreografico adatto al pubblico di tutte le età (debutto al LAC di Lugano, dal 19 al 21 dicembre).
Oltre alla giovane ragazza che la sera di Natale riceve in regalo da un misterioso e magico signore un bellissimo burattino dal volto principesco, e la notte si popola di figure che si agitano come fossero vive, il racconto si affolla di altri personaggi che oscillano tra realtà e sogno, immergendola in atmosfere fantastiche e oniriche che si muovono sulla sottile linea che divide il vero dall’immaginario. Da qui prende le mosse il racconto di questo balletto coinvolgente che, ripercorrendo le storie di Drosselmeier e di Clara, invita il pubblico a lasciarsi andare nel mondo del proprio immaginario, grazie a un impianto scenico visionario che, con le sue architetture 3D, si immerge in un gioco tra realtà e fantasia, tra visibile e inconscio.
Il mondo intorno è una lista. Fare liste è un passatempo o un’ossessione che tocca tutte e tutti noi. Fare liste per non dimenticare, per contenere l’ansia, per tenere memoria, per raccontare in modo asciutto e poetico, per dare ordine, per inventare nuove prospettive, per capire quello che ci sta intorno, per dire di sé. Vertigine della Lista di Giorgio Rossi (a Milano, Campo Teatrale, dal 10 al 14 dicembre, produzione Qui e Ora Residenza Teatrale e Ass. Sosta Palmizi) prova a leggere il contemporaneo confuso che ci sta intorno, nasce dalla voglia di sovvertire il presente che ci sfugge, dall’ambizione di inventare nuovi sguardi sul mondo, dal piacere fisico e dalla gioia che la danza porta con sé, dai nostri corpi che si trovano immersi in una poetica gioiosa e scanzonata.
Lo spettacolo nasce dall’incontro con l’omonimo saggio di Umberto Eco, un testo denso, fatto di immagini, frammenti letterari, riflessioni filosofiche intorno al concetto di lista. In tre performer Francesca Albanese, Silvia Baldini, Laura Valli, e Lorenzo De Simone.
Testo originale di Corrado d’Elia, Il ritorno del Piccolo Principe liberamente ispirato all’opera di Antoine de Saint-Exupéry, non è una semplice riscrittura, ma un nuovo capitolo: un racconto autonomo che dialoga con il classico più amato del Novecento e ne osserva il senso nel nostro presente (con Corrado d’Elia, Chiara Salvucci e Flavio Innocenti, a Milano, MTM Teatro Litta dal 10 al 21 dicembre). Il piccolo viaggiatore attraversa nuovi pianeti e incontra figure inedite che incarnano le domande, le contraddizioni e le speranze del nostro tempo. Il suo cammino si misura con i temi più urgenti della nostra contemporaneità, come la cura del pianeta, l’identità, il femminile, il bisogno di relazioni autentiche.
La regista Virginia Landi, e la drammaturga e sceneggiatrice Tatjana Motta, condividono dal 2017 un percorso di ricerca artistica, lavorando a partire da drammaturgie originali, caratterizzate da una sperimentazione linguistica e da un forte legame con temi socio-politici, con una particolare attenzione alla questione di genere. Con Tristano e Isotta, a partire dal celebre mito letterario, indagano le relazioni sentimentali, dall’amicizia all’amore, sollevando diversi interrogativi: quali sono gli stereotipi artistici e culturali che influiscono sul nostro immaginario? Cosa rende un amore sovversivo? Possedere è sinonimo di amare? Perché da così tanto tempo raccontiamo questa storia?
“Tristano e Isotta”, ideazione Virginia Landi e Tatjana Motta, con Giovanni Cannata, Marta Malvestiti, Cristiana Tramparulo, Riccardo Vicardi, musiche originali e sound design Andrea Centonza, costumi Rossana Gea Cavallo, progetto scenico Maddalena Oriani, disegno luci Vincenzo De Angelis. Produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale. A Modena, Teatro delle Passioni, dal 9 al 21 dicembre.
Si intitola Sons: ser o no ser, la nuova creazione dal titolo amletico della FURA DELS BAUS (alla Fabbrica del Vapore di Milano, fino al 14 dicembre). L’opera, ispirata all’Amleto di Shakespeare, unisce teatro fisico, video immersivo a 360 gradi, scenografie digitali e suono surround. In piedi all’interno di un ambiente a pianta aperta, il pubblico non è più semplice osservatore ma diventa parte integrante della scena, interagendo con gli attori e vivendo da protagonista ogni momento dello spettacolo.
La messinscena si distanzia dalle versioni classiche del testo per affrontare temi attuali come l’impatto del capitalismo, l’emergenza ambientale e la fragilità umana in un mondo iperconnesso. L’opera mira a stimolare una riflessione sul mondo contemporaneo e sulla crisi di valori che lo attraversa. Con una proposta che fonde classico e digitale, La Fura dels Baus riafferma il proprio ruolo nell’esplorazione di nuove forme teatrali.
Nel settembre del 1599, a Roma, Beatrice Cenci, giovane nobildonna di una famiglia tra le più influenti dell’epoca, viene giustiziata per parricidio: la sua colpa è quella di aver ucciso il padre per difendersi dai ripetuti abusi. L’esecuzione – che avviene di fronte a una vasta folla, tra cui figurano anche Caravaggio e Artemisia Gentileschi – scuote nel profondo l’opinione pubblica romana. L’immagine della decapitazione si imprime nel loro sguardo: una discesa ripida nella carne, destinata a rivivere nei loro capolavori.
Il processo divide la città: «aver volontà di togliersi dall’ingiustizia è delitto o justizia?» si chiede il popolo. Vittima prima dei soprusi e poi della legge, Beatrice diventa il simbolo tragico di una vulnerabilità esposta e indifesa. La Piccola Compagnia della Magnolia, attingendo alle opere di Percy Bysshe Shelley, Antonin Artaud e Stendhal e ispirandosi ai testi di Dumas, Mary Shelley, Neige Sinno e Virginie Despentes, porta in scena Cenci. Rinascimento contemporaneo (al Piccolo di Milano, Teatro Studio Melato, dal 10 al 14 dicembre) una nuova lettura della vicenda: una denuncia contro il dominante sistema patriarcale e la dimensione personale dell’ingiustizia, che si riflette, inevitabilmente, sull’intera società.
Ultimi due appuntamenti al Teatro alla Cartiera di Rovereto per la rassegna di danza Animo! curata dalla Compagnia Abbondanza/Bertoni. Il 9 dicembre Trickster di Opera Bianco di Vincenzo Schino e Marta Bichisao dove un danzatore, Luca Piomponi, si divincola tra citazioni cinematografiche e digitali di natura e qualità diverse, con un focus su un’intera scena del film del 1921 The Playhouse, in cui Buster Keaton interpreta una scimmia che imita dei clichés del comportamento umano. Il sesso degli angeli di Roberto Castello, l’11, vede in una scena scabra, Erica Bravini e Ilenia Romano, eseguire una partitura asimmetrica, capricciosa, a tratti spiazzante. Un lavoro che desidera riportare l’attenzione all’umano grazie a una combinazione di valori che sembravano rispondere a domande di altre epoche, una reazione per non rassegnarsi a cercare la salvezza nelle tecnologie, nel mercato, nell’intelligenza artificiale.
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