Categorie: Teatro

TEATRO

di - 20 Giugno 2019
Dopo un anno di rodaggio, la seconda edizione di FOG, il festival di teatro contemporaneo del Teatro dell’Arte della Triennale di Milano, si è dimostrato necessario nella programmazione milanese.
La vernice con Jan Fabre in prima assoluta con The night writer. Giornale notturno, di cui FOG è stato coproduttore, ha da subito inquadrato la kermesse di Umberto Angelini, direttore artistico del teatro e del festival. (qui la recensione). Una proposta densa, ricca di inediti e con una apertura internazionale e una ricerca del nuovo che ha chiamato a raccolta un pubblico curioso e più giovane rispetto alla media in città.
Una scena vuota e al centro un robot, è la “copia” di Thomas Malle, autore tedesco che ha collaborato a Uncanny Valley, il nuovo lavoro, per la prima volta in Italia, di Stefan Kaegi del collettivo berlinese Rimini Protokoll. «Cosa siete venuti a vedere?» domanda l’androide. Perché uscire di casa per osservare e ascoltare un robot? È la curiosità dell’efficienza tecnologica che tende all’antropomorfismo, ma che crea, dopo un primo istante di compiacimento ed esaltazione una sensazione perturbante, o come teorizzato da Masahiro Mori l’effetto uncanny valley, la valle del perturbante.
Parlando per più di un’ora in una drammaturgia lineare, la copia di Malle insinua il dubbio, acuendo la sensazione di inquietudine alimentata dalla costante oscillazione del pensiero tra i concetti di copia e autenticità: in un mondo sempre più digitalizzato, in cui è normale assistere a performance sullo schermo di un computer a chilometri di distanza, cosa rende veramente unico un evento? Quanto un computer può riprodurre fedelmente i comportamenti umani? E questa riproduzione diventa sostituzione o semplicemente integra la sfera del reale? Kaegi sfrutta la voce (e il corpo) di Malle per riflettere sulla questione, non risolta, della “riproducibilità dell’opera ai tempi della rete”: le domande sono poste e siamo in attesa di assistere agli sviluppi.
FOG, foto di Gabriela Neeb
Prima italiana anche per Tú Amarás della compagnia cilena Bonobo, fondata nel 2012 e nota per lavori che stimolano il pensiero critico sulla contemporaneità. In un’algida scena fatta di tavoli e sedie bianchi, un gruppo di medici si prepara a sostenere una conferenza sulla condizione di emarginazione degli Ameniti, extraterrestri atterrati sulla Terra per prendervi dimora. I medici, inizialmente concordi a favore del “diverso” e sostenere la maschera del politically correct di fronte alla società, si trovano costretti a prendere posizione, anche scomode. Una tragicommedia in cui, con un ritmo in più punti didascalico, la maschera viene frantumata svelando quanto l’odio per il diverso sia socialmente radicato più di quanto si creda.
La coreografa Ivana Müller mette in scena un ludico lavoro di straniamento. Una decina di tende sul palco del Teatro dell’Arte accolgono coppie di spettatori che non si conoscono tra loro per trasformali in attori: in ogni tenda due copioni, A e B, che una volta chiusa la zip che separa dal mondo esterno, i due spett-attori iniziano a leggere. Seppur i dialoghi siano in diversi casi poco verosimili e superficiali, lo spettatore si trova ad affrontare una duplice prova. Da un lato deve abbandonare le proprie idee per leggere e interpretare quelle di un altro individuo, diventando quindi attore; dall’altro, in quella tenda chiusa, gli sguardi ravvicinati dei due sconosciuti lo portano ad accantonare le proprie inibizioni prossemiche, come bere vodka in un gioco goliardico. Si diventa così partecipi e creatori del proprio percorso in questo Hors-Champ, cambiando personalità ogni volta che si legge una nuova identità, arrivando a domandarsi quale sia effettivamente la propria, spesso smarrita in una società apparentemente liquida ma con i confini ancora ben delimitati.
FOG, foto di Jorge Sánchez
Molta attesa per l’ultimo lavoro dei Motus, Rip it up and start again, spettacolo-concerto realizzato con quindici attori under trenta de La Manufacture – Haute école des arts de la scène di Losanna. Partendo dal libro Rip It Up and Start Again: Postpunk 1978–1984 (Penguin 2005) del critico musicale britannico Simon Reynolds, ogni ragazzo si è confrontato con un cantante della scena punk degli anni Ottanta con cui ha dovuto trovare punti di contatto per elaborare una drammaturgia. L’obiettivo usare gli insegnamenti degli eroi per guardare avanti e cercare nuovi punti di partenza: in un susseguirsi di brani delle icone della scena Eighties, dai Joy Division ai Tuxedomoon a Lydia Lunch, il confronto con il mito diventa tema sociale e la voce della nuova generazione motore di cambiamento. Ma in questo caso i ragazzi sono sembrati schiacciati dal compito richiesto, trasformando il lavoro in un lungo musical.
Dal 15 marzo al 5 giugno, tanto è durata la manifestazione, con circa due debutti a settimana tra spettacoli, concerti e performance, FOG è stata una vera primavera nella scena teatrale di Milano.
Giulia Alonzo

Dopo gli studi al Politecnico di Milano e all'Accademia di Belle Arti di Brera, collabora con diverse testate di teatro e arte. Studiosa di arti visive, design e spettacolo dal vivo, è particolarmente interessata alla ricezione e alla simbologia delle opere d'arte nella società contemporanea. Attualmente impegnata nello sviluppo del portale trovafestival.com, la cultura in movimento.

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