Si potrebbe rimanere a parlare del lavoro di
Hans Peter Kuhn (Kiel, 1952; vive a Berlino) per anni interi. È inutile elencare i premi (tra i quali un Leone d’oro alla Biennale del 1993), le installazioni in rilevanti spazi pubblici e le innumerevoli mostre in carnet. Basti dire che la delicata e velata chiarezza minimale, quell’estetica che l’artista tedesco apporta nello scindere il formale dall’informale, deriva dal suono. Dal rumore di una natura appena udibile. E questo potrebbe già diventare un elemento utile per fermarsi e mettersi nella disposizione d’animo per imparare, con il massimo della complicità percettiva possibile. Imparare dalla semplicità della resa visiva, spalancata e giustapposta alla teoria della relatività.
Per la sua seconda personale torinese, Kuhn cambia decisamente rotta rispetto ai lavori finora progettati e sceglie la bidimensionalità della fotografia. In galleria spiccano tre nuove opere inedite e un’installazione che ha già avuto repliche e successo di critica (
Population II). Kuhn segue da alcuni anni la tecnica della stampa. Ne rimane affascinato per il processo e le modalità di restituzione rappresentativa. E decide di auto-prodursi la stampa di alcune foto, immagini scattate e poi slabbrate autonomamente, foto che ritraggono i propri lavori o alcuni momenti di vita quotidiana. L’artista sottolinea com’è arrivato a trasformare la propria curiosità in un nuovo modello di iper-visualizzazione della fotografia.
I progetti delle sue installazioni sonoro-luminose, se studiate per le grandi metrature, sono sempre state vere e proprie impalcature scalari.
Crescendo di listelli al neon, solitamente bianco, o al massimo di tre diversi colori, che invadevano gli spazi (parchi, facciate, corridoi, stanze, saloni, cantieri, fiere) e che ne restituivano la fenditura della linearità.
Oggi, invece, Khun cerca di conferire al registro scopico, mai palesato e allo stesso tempo sottratto in questa maniera, un sottile attributo sonoro. Una catena di registrazioni che campiona a partire da piccole alterazioni dei silenzi, creati in qualsiasi situazione o atmosfera. Così, attraverso micro-speaker applicati dietro i supporti stampati, lo spettatore è in grado di dare un preciso, anche se non corrispondente, suono alla visione.
Mentre gli occhi, dunque, guarderanno orizzontali sedimenti di modificazioni, cercando di indovinare bolle di colore. E queste esploderanno danzando, per appoggiarsi sui contorni reali di ricordi all’ennesima potenza.