La doppia personale di
Ada Mascolo (Torino, 1970) e
Marina Sagona (Roma, 1967; vive a
New York) sviluppa una matrice poetica in due distinte direzioni: quella
grafica e letteraria di Sagona, i cui disegni s’ispirano ai versi del
Cantico
dei cantici (dalla raccolta
La donna al plurale del 1936) del poeta
ceco Vitezslav Nezval, e quella
tachiste e vibrante delle “
carte bagnate di
luce”,
come le definisce la curatrice Lea Mattarella, di Ada Mascolo.
Quest’ultima mette in scena un ordine della
complessità in cui potenza e fragilità, passione e violenza s’intrecciano, come
nella grande tela
Senza titolo (Albero), che sviluppa un groviglio di colore
dentro la leggerezza e il dinamismo di geografie emozionali, macchie che vibrano
di molte sfumature, definendo in senso astratto una complessità che trova il
suo contrappunto figurativo nella serie
Donna al plurale di Sagona, ventotto
disegni brevi ispirati ai versi del poeta e predicatore ceco.
La curatrice Olga Gambari definisce “
debordante” la donna di Nezval,
che trova il suo contraltare visivo in un caleidoscopio in cui viene declinato
il femminile, attraverso associazioni automatiche di parti corporee e oggetti.
Dentro ci sono le donne, tutte e nessuna. C’è la donna, ritratta in bianco,
nero e arancio. Una traduzione visiva di un incontro fra il poeta innamorato e
l’artista che ne celebra la parola attraverso il disegno: due capi diversi
della storia e della sensibilità che si trovano.
La
concept room che s’inaugura con la
personale di
Maria Bruni (Torino, 1966) ospita un desiderio della
gallerista Federica Rosso, che incontra l’artista e le apre le porte di casa.
In teatro sarebbe un po’ come sfondare la quarta parete e permettere che gli
attori sguscino in sala per lacerare la rappresentazione e fare incursione
nella realtà.
In
Desìderi | Desidèri Maria Bruni espone un
progetto che porta avanti da anni, dedicato alla mappatura dei desideri delle
persone a lei vicine. Le fotografie di luoghi domestici sono i ritratti di
desideri in embrione. Bruni fotografa le abitazioni un momento prima che
conoscenti e amici vi s’installino. Sono stanze vuote, grembi in attesa di
nutrire i sogni di esistenze comuni e condivisibili.
In un libro d’artista, Bruni registra i
racconti di desideri. Fotografa soffioni soffiati. Sono dieci; sette ce l’hanno
fatta, sono completamente spogli. Tre resteranno desideri. La fotografia
diventa, in questa ricerca intima e delicata, una testimone discreta e concreta
di ciò che più ci rende vivi e umani: quei desideri, a volte banali a volte
bizzarri, che denotano una mancanza, una finitudine esistenziale che è un buco
nella profondità dell’essere.
Fotografia che sporge sull’antropologia
culturale e riprende, con stile “macro”, una serie di oggetti scaramantici: dal
ciglio all’osso di pollo passando per le candeline, ripresi come altrettanti
paesaggi.
In giardino, sopra l’abitazione-
concept
room,
una
green house di rete metallica bianca protegge il tarassaco, la pianta dei
soffioni, che l’artista ha coltivato insieme alla gallerista per mesi,
accompagnata da un carillon che suona
Lakmé di Léo Delibes.