L’approccio di
Ugo Mulas (Pozzolengo, Brescia 1928 – Milano 1973) alla fotografia è casuale, nasce dal fascino che il medium esercita su di lui, il cui percorso formativo è assolutamente autodidatta. La fotografia rappresenta una metodica di indagine sociale, offre la possibilità di penetrare tra le maglie del vissuto per mettere in evidenza dinamiche complesse.
Siamo negli anni Cinquanta, il Paese è immerso nella crisi profonda del dopoguerra: le sue immagini sono in bianco e nero, di matrice realista, rappresentano un
analogon del cinema di
Rossellini e di
De Sica, che ha segnato profondamente la cultura del periodo. Le periferie di Milano e gli amici del Bar Jamaica, centro di ritrovo e conversazione, sono i primi soggetti di una ricerca che procede tra reportage, collaborazioni a riviste di prima grandezza, incontri con artisti famosi, uno stretto legame con gli americani della Pop Art testimoniato, negli anni ’60, dal volume
New York: arte e persone.
Dal ‘54 Mulas prende a frequentare la Biennale di Venezia, di cui diventa il fotografo ufficiale. Nel 1970 inizia a realizzare immagini che, come egli stesso afferma, “
hanno per tema la fotografia stessa”, cioè i rapporti interni al medium, le sue possibilità di analizzare il reale.
La mostra antologica che la Gam ha allestito segue con rigore tutto il percorso dell’artista. S’inizia dunque con le immagini milanesi, per proseguire con i ritratti di artisti degli anni ’60, tra i quali segnaliamo l’
Attesa (1966), dove
Lucio Fontana è fotografato nella sequenza di momenti che precedono il “taglio”, e si prosegue con le Biennali, dal 1954 al 1962, nel contesto delle quali risultano di grande interesse documentale due fotografie del 1968, la
Carica della polizia a Piazza San Marco e
Il telegramma di Pino Pascali che si ritira dalla Biennale, e con il ciclo degli artisti newyorkesi realizzato tra il 1964 e il 1965.
All’interno delle diverse sezioni, tutte da vedere con attenzione, si segnala ancora
Campo urbano (1969),
Ossi di seppia (1962), dedicato a Montale, le immagini delle scenografie di
Wozzek e di
Giro di vite, entrambe datate 1969, straordinarie per la capacità di rendere la suggestione teatrale; infine, le
Verifiche (1970-72), forse il punto più alto della sua indagine.
Accanto a questa produzione, che costituisce il nucleo centrale, la mostra propone i photocolor, meno noti, ma di notevole interesse, sui quali è incentrato il catalogo di Electa. Queste immagini sono esposte nel loro formato originale, con una scelta che, per coerenza con l’insieme, riguarda il mondo dell’arte.
Allo spettatore si apre dunque un universo completo, che riunisce, per dirla con Mulas stesso, “
le esperienze del colore, di tipo più purista, estetizzante e il discorso col bianco e nero, più ideologico, mentale”.
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Bianco e nero
Proprio perché -come dice Mulas- il bianco e nero é più ideologico e più mentale sarà con questo tipo di foto che Lucio Fontana sarà immortalato nel gesto di tagliare la tela. Così, grazie a questa fotografia meglio possiamo capire la dinamica profonda che spinse Fontana a travalicare con tagli e buchi la tela per andare a scoprire quello spazio che il quadro nasconde.