Alla fine degli anni Sessanta, in pieno clima di contestazione, un gruppo di artisti nordamericani cerca di impedire la circolazione commerciale delle proprie opere. Sono i Land Artists, che scolpiscono in forme minimali riquadri vastissimi di natura. I settings preferiti delle loro operazioni sono le aree incontaminate degli stati centrali degli Stati Uniti e della California. Impossibile trasportare le opere in galleria, per consegnarle alle braccia del mercato. Si tratta di realizzazioni deperibili, che vengono riassorbite dall’ambiente; ma che prima sono fotografate, registrate, bloccate in immagini bidimensionali. Solo gli scatti possono essere esposti. I Land Artists trovano sostegno nella gallerista Virginia Dwan, all’inizio del loro percorso.
Ancora oggi sono le gallerie private, almeno in Italia, a giocare un ruolo fondamentale nel mostrare i loro lavori. E’ il caso di Dennis Oppenheim , artista storico del gruppo, che inizia a pensare agli earthworks nel lontano 1967. Raramente musei e istituzioni hanno dedicato al suo percorso delle retrospettive organiche, mentre non possiamo dire altrettanto degli spazi privati.
VarArt, ad esempio, espone oggi un gruppo strutturato di opere di Oppenheim, alcune delle quali di nodale importanza per la sua ricerca. In Directed seeding cancelled out crop (1969) un campo è cancellato simbolicamente, tramite il taglio del grano che vi era piantato; in quetso modo, l’artista veicola la sua critica allo sfruttamento esclusivamente economico del paesaggio. Con Whirpool, eye of the storm (1973), crea una serie di spirali in movimento nel cielo; la tecnologia interagisce con l’ambiente naturale non necessariamente con effetti negativi. Identity stretch (1976) compone in un collage enorme e preziosissimo immagini fotografiche di un prato segnato da linee curve, vicine alle venature delle impronte digitali.
Tutte le opere di Land Art di Oppenheim sono costituite da fotografie, accompagnate da notazioni precise sul momento e sul luogo della effettiva costruzione dell’earthwork, con tanto di cartina geografica.
I lavori esposti costituiscono un nucleo coerente. Sono selezionate soprattutto opere appartenenti all’esperienza di Oppenheim come Land artist, mentre la sua ricerca performativa non è volutamente messa a fuoco in questo contesto. Un gruppo di schizzzi degli anni Novanta, relativi ad opere poi realizzate, è presentato accanto alle testimonianze della fine anni Sessanta, primi anni Settanta.
silvia bottinelli
mostra visitata il 4 marzo 2004
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