Entrare negli spazi della Galleria Continua durante lâapertura autunnale non solo significa immergersi nel mood del clima di stagione, ma addentrarsi esattamente dove sembra che la vita cominci. Nella terra.
Navigare a vista, una serie di sette delicati disegni a pennarello, segna lâingresso del percorso. Sono le mappe di isole che indicano la rotta, il sentiero forse piĂč visivo che codificato dei nuovi semi di
Sabrina Mezzaqui (Bologna, 1964). Nel suo âtessereâ la carta riflettendo sulle parole e sul loro valore simbolico, lâartista parte questa volta dalla definizione dello Zingarelli della voce âpiantareâ, verbo che, con tutte le sue declinazioni, si riferisce alla semina di vegetali e che, attraverso il lavoro
Mettere a dimora, esprime soprattutto unâattitudine nei confronti della vita, un modo di pensare e, non ultimo, di essere.
I lavori di Mezzaqui, fragili e diafani, in un certo qual modo sussurrati, sono un tuttâuno tra il fare manuale, lâimpiego del mezzo video e il teatro, pratica che in questâoccasione si manifesta anche
Con lievi mani, la performance del Teatro Valdoca diretta da Cesare Ronconi su una poesia di Mariangela Gualtieri e i cui abiti, un ordito di fiori e foglie, sono realizzati dallâartista a partire da alcuni versi del
Vangelo di Matteo.
La Divina Commedia e
Lucciole, due dei progetti in mostra, si dispiegano invece come una danza senza suono. Il primo, con la carta a ricostruzione del girone dantesco, e il secondo, attraverso immagini video di insetti a intervalli cadenzati, diventano insieme i testimoni di un equilibrio precario tra la definizione di un germoglio, la sua crescita e il suo sviluppo. E sono, inoltre, secondo i nuovi principi delle teorie sul paesaggio â perchĂ© sempre di semi si parla -, i luoghi di potenzialitĂ del
Terzo paesaggio di Gilles ClĂ©ment, gli spazi in cui i germogli, ondeggiando nel tutto, possono diventare frutto o negarsi, ma sempre in movimento perchĂ©, come sottolinea anche una flebile voce nellâazione teatrale, â
gli alberi appena nati hanno bisogno della luceâ.
E di luce per crescere, riflessa da specchi o forse proveniente da realtĂ capovolte, hanno anche bisogno le
Changing rooms di
Leandro Erlich (Buenos Aires, 1973; vive a Parigi e Buenos Aires), lâartista invitato dalla galleria per la sezione
One Year Project, il percorso di installazioni site specific della durata di un anno.
Labirinti, strettoie al limite della percorribilitĂ e pareti ribassate sono gli spazi incerti tracciati da Erlich. Stanze che, tra realtĂ e finzione, conducono in un gioco di specchi, di riflessione, dunque, sulla natura dello spazio e della funzione che solitamente vi si attribuisce. Anche in
Carrousel ed
Elevator, due delle maquette delle opere che lâartista presenterĂ prossimamente a Liverpool e Madrid, e qui esposte nella project room dellâArco dei Becci, emerge come il punto dâosservazione nasca da un gioco di opposti, da dentro a fuori, da sopra a sotto.
Parole o stanze che siano, nei lavori dei due artisti prendono cosĂŹ forma gli spazi privilegiati del cambiamento, i luoghi in cui lasciare che il tutto accada.