“Ho scelto il silenzio apparente delle stanze in cui oggetti, mobili (…) divengono i veri protagonisti della messa in scena della vita. Come in un teatrino, raccontano evocando le memorie del quotidiano, dove tutto è sublimato in una luce metafisica che disegna sui muri impalpabili frammenti d’immagini.”
Così Simone Butturini (Verona, 1968) descrive il suo approccio con la pittura, nell’ambito della personale che BZF gli dedica esponendo 15 tele e una decina di opere su carta e bozzetti preparatori.
Ne emerge la qualità intimista di una “pittura d’interni”, in cui il dato oggettivo dell’ambiente domestico viene sublimato e trasceso da un approccio emotivo e “sensibile”. La concretezza, infatti, degli oggetti rappresentati- sedie, letti, vasche da bagno, tavole apparecchiate che ricordano Giorgio Morandi– sembra suggerire l’attesa di un evento prossimo a realizzarsi o un recente abbandono, l’eco di una presenza da poco scomparsa. Come avviene, ad esempio, in Riflesso d’immagine (2001), in cui lo specchio
Non è un caso, del resto, che Butturini si sia formato, come Fiorenzo Tomea (Zoppé di Cadore, 1910-1960), nell’ambiente veronese. A Tomea, infatti, il giovane artista appare legato non solo dalla predilezione- specie nelle ultime opere- per la natura morta, ma anche dal “taglio” dell’immagine, in cui una linea orizzontale- il mare per Tomea, il pavimento per Butturini- giunge spesso a tagliare in due parti uguali l’inquadratura. Ma mentre per l’artista cadorino gli oggetti appaiono fissati in una desolata, esistenzialista solitudine, in Butturini serbano la pregnanza della memoria, il sapore della nostalgia.
Scrive, infatti, Marco Goldin: “Una sorta di proustiano romanzo familiare è quello che Butturini ricrea con il suo lavoro paziente, volto a ritessere ambienti e stanze dal corso usato della vita. Forse interni gozzaniani o palazzeschiani (…).Un piccolo mondo antico che vive sulle suggestioni del post-impressionismo, soprattutto Vuillard e Bonnard(…).”
Una pittura, anche, fatta di luce, ed esaltata da una monocromia virata nei toni prediletti dell’ocra o dell’azzurro.
Ma, soprattutto, una pittura che non sembra concedersi alla moda. Come sottolinea Barbero nella sua recente monografia sull’artista, Butturini sembra rifiutare i miti imperanti della velocità e della trasgressione, dell’infinita riproducibilità dell’immagine e della sua cannibalizzazione. Preferendo la trasfigurazione di un mondo conosciuto eppure ancora fonte di stupore, scena privilegiata di un miracolo prossimo o appena avvenuto.
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elena franzoia
mostra visitata il 12 aprile 2003
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aiuto aiuto..il nostro Barbero prima fa il curator alla Guggenheim e poi cade nel bicchiere di latte abbandonato di Butturini ?
peccato che i lavori siamo così belli in foto e poi di una desolante pochezza dal vero..privi di profondità, opachi e poca poca cosa, ma il catalgo Vallecchi forse merita una presentazione dell'artista...come anche le insalate del Bizeffe a un costo spropositato...