Ancora una volta la cornice medievale del Palazzo Pretorio di Certaldo si apre all’arte contemporanea, ospitando la personale di Robert Gligorov, artista di origine macedone (è nato a Kriva Palanca nel 1960), ma residente a Milano.
Gligorov è conosciuto soprattutto per le sue fotografie, che sono state largamente esposte in Europa, ma realizza anche installazioni, sculture e video. A Certaldo sono raccolti 21 scatti e una video installazione, realizzate dall’artista nel corso degli anni e già presentate in altre occasioni espositive.
Sulla scia inaugurata da Maurizio Sciaccaluga la scorsa estate con la mostra Seven – Everything goes to hell, anche con Full Contact il curatore, Daniele Ugolini, propone al pubblico una mostra indiscutibilmente forte, sia per il tema che per le immagini, non propriamente adatte a stomaci deboli o ad animi troppo impressionabili.
Tuttavia, superato l’impatto iniziale lo spettatore riesce progressivamente ad immergersi nell’universo di Gligorov. Un mondo fatto di immagini patinate, di estremo rigore e purezza formale, anche se spesso raffiguranti situazioni di forte impatto. Attraverso inedite ibridazioni fra vita umana, animale e vegetale, l’artista macedone esplora l’animo umano ed il concetto di identità. Allo stesso tempo raggiunge l’obiettivo di attirare l’attenzione mediante il superamento dei confini del visibile e del tollerabile.
Grazie alla rielaborazione fotografica di Gligorov lo stabilimento della Fiat diventa una sorta di lager abitato da forzati del lavoro. Un uomo in tuta –non si sa se un militare o un meccanico- viene impalato in bocca da una croce di legno, come un martire che si immola per la salvezza dell’umanità.
Una colomba bianca, simbolo di pace e candore, nel tentativo di liberarsi dalla pece nera che le avvolge le ali, sembra simulare un poetico rituale d’amore. Infine, una singolare natura morta fatta di cavoli e funghi rievoca la devastante esplosione di Chernobyl del 1986.
Realtà ed immaginazione si mescolano, generando scambi, metamorfosi e mutazioni transgeniche –volti fatti di polpo, scarpe di pelle umana, gonne voliere, peli pubici “pettinati” come preziosi tanga- che diventano la normalità. Immagini poetiche si intrecciano con evidenti allusioni sessuali (orchidee da cui spuntano membri maschili); panorami lacustri vengono interrotti da immagini erotiche.
Di fronte ad una società abituata a forme di comunicazione visuale sempre più estreme e sofisticate, Gligorov sceglie di acuire l’impatto. Ma è nei temi trattati che la sua propensione per il bizzarro, l’eccentrico e lo scandaloso si fa sentire con maggior forza.
Le innumerevoli trasformazioni di Robert Gligorov incarnano lo spirito del tempo; lui stesso, ex attore e modello, abituato quindi ad un lavoro incessante sul proprio corpo e sulla propria immagine, usa la fotografia per riprendersi su un set di cui è protagonista assoluto.
Reinventandosi, trasformandosi ed interpretando ruoli sempre diversi. Nei numerosi autoritratti, la fisionomia, i connotati, il corpo, sono continuamente alterati, messi alla prova da innesti contro natura, sfidati nella propria identità.
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sara paradisi
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...e a chi e cagat ò 'cazz?
Ottimo ottimo ottimo Glig