Quello documentato nella mostra di Palazzo Ammannati Pazzi è un cimento artistico che vede avvicendarsi dietro l’obiettivo due sensibilità distanti un secolo e molti mondi, eternando la più antica, proiettando verso il futuro quella contemporanea.
Erano gli anni in cui l’etnologia andava ancora organizzandosi in disciplina scientifica quando, nell’ultimo scorcio del XIX secolo, Elio Modigliani (1860-1932) intraprese le sue prime esplorazioni nelle isole. Il taccuino di viaggio di questa esperienza (compiuta tra il 1886 e il 1894) è al centro dell’esposizione con cui Firenze, nella struttura del Museo di Antropologia e Etnologia, celebra la figura di Modigliani, insigne studioso e instancabile esploratore, meno noto ai suoi concittadini che agli abitanti di Nias, di Sumatra, dell’Arcipelago Mentawei. Gli appunti del viaggiatore e gli oggetti d’arte o di artigianato riportati dalle esplorazioni guidano il visitatore alla scoperta della fotografie di Modigliani, proposte sia in stampe originali sia in riproduzioni moderne da negativo.
L’occhio di Modigliani raccoglie dati sui luoghi e sugli uomini che li abitano e li cataloga in una sorta di trascrizione documentaria. In queste stampe il rigore dell’indagine scientifica e la metodicità dello studioso sono a tratti stemperati da una curiosità più umana; dietro l’interesse dell’etnologo si cela quella spontaneità che deriva da un’effettiva partecipazione alla varietà della natura umana e alla straordinarietà dei suoi casi.
Pierpaolo Pagano si è aggirato tra le opere della Collezione Modigliani (confluite nelle raccolte del Museo) riprendendo questo punto di osservazione ed amplificandolo in una prospettiva più articolata. La distanza più evidente tra i due fotografi risiede nello scarto tra l’immagine a due dimensioni familiare, e congeniale, a Modigliani e la presenza della terza, verificabile oggettivamente e “ontologicamente”, nella fotografia di Pagano. Quest’ultimo lascia intorno agli oggetti ritratti lo spazio necessario perché mantengano la loro specificità; il fotografo non dimentica di trovarsi davanti a un monile di Nias o a un totem dell’isola di Engano: la peculiarità di ogni manufatto influenza profondamente la possibilità di muoversi, di osservarlo e, inevitabilmente, di fotografarlo. Pagano sembra ingaggiare una danza di corteggiamento amoroso con ogni soggetto dei suoi scatti; molti giri vengono compiuti intorno alla “preda”, molte esitazioni rallentano il percorso verso lo scatto e non è una sorpresa che, una volta stampati i negativi, il fotografo possa detestare alcune delle sue opere.
Infine, il lento respiro di Pierpaolo Pagano dota le sue fotografie di una carica di evocazioni non intuibile a prima vista: qui gli idoli di Sumatra possono diventare santi locali e lo sguardo di una statuetta lignea acquista tutta la drammatica consapevolezza della propria distanza dalle sue origini.
pietro gaglianò
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