Un tempo erano chiese, palazzi, corti: luoghi dell’ufficialità politica e religiosa. Oggi è dentro spazi deputati – musei, gallerie, fondazioni – che l’arte trova la sua naturale collocazione.
Il progetto di Pier Luigi Tazzi, che vede protagonista
Thomas Ruff (Zell am Harmersbach, 1958; vive a Düsseldorf), prova a fare un passo indietro, puntando a una temporanea riappropriazione degli spazi del potere. Straordinariamente armonico il risultato: le fotografie, ben lungi dal sembrare oggetti alieni, comparsi per un qualche stonato sortilegio, è come se fossero sempre state là, tra quei divanetti in pelle e le scrivanie, tra i faldoni, gli scaffali e le cassettiere, in mezzo agli studenti curvi su libri e pc, agli assessori in riunione, alle segretarie con le loro scartoffie e ai cittadini in transito fra stanze, salottini e scale.
Il percorso include anche due tipici
art-space: l’Associazione Dryphoto, in cui è raccolta una rassegna di pubblicazioni sull’artista, e lo spazio comunale
Alberto Moretti di Carmignano.
Cuore del progetto è Palazzo Buonamici, sede della Provincia di Prato. Qui prevalgono soggetti prossimi all’astrazione, alla perdita dei contorni: gli scatti, provenienti da celebri serie, si integrano come presenze neutre con gli antichi affreschi allegorici e gli arredi dal design lineare e asciutto. Sono opere che funzionano come finestre magiche, aperte su un immateriale “
mindscape”. Così, una veduta delle Torri gemelle, sgranata in macroscopici pixel, è accostata a un nudo erotico recuperato sul web e diluito in una sfocatura morbida, sensuale. Il riferimento è a quella tensione pornografica che spesso fonda e sfonda l’immagine mediatica. E poi, il nero siderale di un lembo di cielo ripreso da un osservatorio astronomico; le forme liquide in cui si spalmano psichedelici frammenti di manga; le non-fotografie che documentano i rilievi effettuati da una sonda spaziale Nasa.
Tutta la ricerca di Ruff ruota intorno al problema dello statuto dell’immagine fotografica e al rapporto tra realtà, osservatore e oggetto inquadrato, immortalato, alterato, contemplato, riconosciuto o travisato.
Prevale il tema dell’elenco e dell’archivio negli spazi che ospitano biblioteche e centri di documentazione: dall’istituzione come luogo del potere all’istituzione come dimora del sapere. Due enormi “
portraits” dominano l’ingresso dell’affollata Biblioteca Lazzerini di Prato. Volti più veri del vero, assoluti, luminosi, sospesi. Talmente puri da raggiungere la pienezza e la nitidezza dell’idea. Si connettono all’identità dell’ex edificio industriale le foto tratte da cataloghi di macchinari industriali d’epoca. Le modificazioni cromatiche dei negativi originali creano un’inquietante evocazione bellica: il tornio è quasi un cannone, le seghe elettriche fanno il verso a un piccolo esercito compatto.
Ancora volti presso la Biblioteca di Montemurlo, ospitata nella settecentesca Villa Giamari. Una serie di facce in bianco e nero, ottenute tramite impercettibili sovrapposizioni, guardano al di là delle vetrate, congelate nella fissità dei primi piani stretti, frontali, eppure infinitamente ambigui.
Realtà e rappresentazione, immaginazione e documentazione, verità dell’icona e incertezza del dato. Dove stanno lo scarto e il punto d’equilibrio?
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Assurdità! Mostra finanziata dal potere e dentro il potere. Dov'e' la libertà dell'artista? Nella rappresentazione che è stata resa impotente, proprio dal potere che si vuole condannare. Oggi, l'arte si presenta morta fin dalla nascita.