Il binomio inscindibile arte-vita trova la sua più chiara spiegazione nel titolo
Art is the better life, ormai consueto, di questa retrospettiva a cura di Valerio Dehò. In quello che può essere interpretato come un motto,
Urs Lüthi (Lucerna, 1947; vive a Monaco e Kassel) esprime il punto d’approdo e il miraggio della sua lunga ricerca: diventare opera d’arte, far sì che la propria biografia si trasmuti in storia dell’arte come miglior via da seguire. Ripercorrere le tappe fondamentali della propria vita, per Lüthi significa quindi riattraversare gli innumerevoli volti con cui è apparso sulla scena artistica.
Quella che appare come una mostra antologica che segue i camuffamenti di Lüthi, da diva a drag queen, da fragile adolescente a
jogger, è la presentazione di un suo lavoro del 2006,
Trademarks, insieme a dieci sculture che lo ritraggono nell’ultima sua personificazione: il
jogger, appunto. Si tratta di un archivio personale dei lavori dell’artista, 143 carte contenute in uno scrigno di ricordi e segreti.
L’esposizione ha inizio proprio con l’indice dei lavori e la cassetta che li custodisce. Il nuovo si crea ricombinando il passato, come in un puzzle infinito. Così, un artista che ha sempre lavorato per serie scompagina cicli per crearne di nuovi, accostando elementi appartenenti a fasi diverse.
Ricompaiono i celebri autoritratti degli anni ‘70,
I’ll be your mirror,
Lüthi weint auch für sie, in cui un fragile Lüthi in pose malinconiche e femminili è associato agli slogan della serie recente
Placebos & Surrogates: “I have no limits”, “Success”, “Freedom”… Nascono poi nuovi lavori, contrassegnati tutti dal marchio di fabbrica e dalla data dell’originale riportata insieme al 2006, anno della loro rinascita come
Trademarks.
Alcune parole oppure un logo possono creare uno slittamento di senso, per cui il passato ha la possibilità di attualizzarsi e vivere come altro da ciò che era. Il procedimento sospinge la memoria all’indietro:
Rrose Selavy, alter ego di
Marcel Duchamp, con lo pseudonimo di
Belle Haleine compariva come contrassegno su una boccetta di profumo.
Negli ultimi anni, la deviazione di senso si è spinta sempre più verso la società del consumo e del
wellness at any cost. Rendere reali quelli che sono i sogni e le aspirazioni di bellezza del mondo, non solo quelli dell’ego, diviene il leitmotiv delle opere di Lüthi. Non a caso fu accostato alle stelle del glam rock, Lou Reed e David Bowie, che con piume e lustrini dichiaravano guerra ai confini identitari.
L’arte diventava il campo delle possibilità infinite e degli sconfinamenti. E fu ai suoi occhi la miglior vita possibile. Mentre l’androgino alieno creato da Bowie,
Ziggy Stardust, divenuto troppo reale, fu costretto al suicidio, gli alter ego di Lüthi sembrano aver trionfato nel campo libero dell’arte.
La mostra itinerante ha scelto come punto di partenza il Kunstmuseum di Lucerna e come prima tappa italiana Merano Arte, per poi toccare due altre sedi, Villa Giulia a Verbania e la Fondazione Brodbeck a Catania. Per ora si chiude con
I’d like to be a cubist sculpture, una dichiarazione esplicita, al suo pubblico, di voler vivere come opera d’arte.