Sei originaria del Sud Tirolo, nata a Silandro nel ’74, hai quindi frequentato l’Akademie der bildenden Kuenste di Vienna, con la professoressa Eva Schlegel, ed ora risiedi a Vienna.
Il passaggio a Vienna per chi si dedica alle arti ed è di madrelingua tedesca è necessario in quanto in loco non ci sono, dopo la Scuola d’Arte, altri sbocchi. La città mi ha affascinato per la sua vita intellettuale e culturale, come per i notevoli scambi internazionali.
Hai ricevuto una borsa di studio nel 2002 per un Atelier Stipendium a Chicago, un’esperienza di certo notevole. In che modo sei stata influenzata dalla vita statunitense?
Sono rimasta affascinata dall’architettura di Chicago con i tre grandi rappresentanti del Costruttivismo: Louis Sullivan, il padre della scuola di Chicago, Frank Lloyd Wright e la sua Prairie School, e Ludwig Mies van der Rohe che introdusse le torri di vetro ed acciaio negli Stati Uniti, facciate imponenti che spesso non rivelano invece la grande attenzione ai particolari e ai materiali. E’ stato proprio a Chicago che ho infine chiarito in me il concetto del riduttivismo e da questo momento in poi ho iniziato ad eliminare piuttosto che arricchire.
Nelle tue installazioni sei solita rileggere completamenete lo spazio attraverso superfici e volumi disegnati da quadrettature e trame simmetriche, nere su bianco. Lo stesso meccanismo percettivo lo inneschi nelle opere fotografiche (rigorosamente b/n), in cui il corpo è segnato da linee e sezioni nere. Eppure la tua non è Op-Art….
Dovrei partire da ciò che maggiormente mi ha influenzata, vale a dire un settore scientifico che investiga la visione, la psicologia della percezione, la filosofia analitica come la Teoria della Conoscenza di Wittgenstein. Sono quindi interessata al processo mentale nel momento in cui le cose vengono percepite, non in un contesto fisiologico, ma filosofico e sociologico, per smantellare una visione gerarchica e avviare un approccio logico nella struttura delle cose.
Parlami delle tue fotografie: parti del corpo con interventi di scotch nero. A volte l’immagine è sviante, un gomito sembra un ginocchio, proprio per la postura. I tuoi interventi mi ricordano di Malevich.
Malevich, indiscutibilmente. Di certo mi colloco all’interno dello sviluppo delle idee di questo maestro. La mia stessa mano fotografata con il quadrato nero nel palmo riporta al suo. Gioco con i segni del corpo visti sotto diverse angolature mantenendo profili orizzontali e verticali, una geometria il più possibile perfetta.
E l’Italia. Hai esposto a Vienna, Salisburgo, Graz, Monaco, Berlino e Chicago. Questa mostra sarebbe un ritorno nel Belpaese?
Sì, un mezzo passo verso l’Italia. E’ davvero interessante lo scambio di informazioni nei distinti contesti.
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