Dipingere coi soli occhi, bloccare sulla tela l’immagine retinica è idea propriamente paradossale. La visione statica e oggettiva è quanto di più lontano si possa concepire rispetto al dato ineliminabile del nostro essere biologici, quindi coinvolti in continui processi di relazione “io-mondo”. Di fronte alle immagini di Corrado Zeni il senso di questa affermazione è addirittura illuminante. Attraverso decine di ritratti fotografici l’artista elabora il proprio rapporto col mondo producendo un flusso di visioni anonime che selezionerà per la composizione dei propri quadri. La fotografia è dunque tappa essenziale di questa pittura; ne sancisce la nascita e in un certo senso ne condiziona gli esiti, diventando il canale referenziale da cui far emergere nuovi circuiti di senso.
Questa operazione è resa più esplicita nei ritratti close-up all’acquerello: volti anonimi femminili prelevati direttamente dal magma erotico della Rete. Una pittura, quella di Zeni, stretta intorno alle possibilità generative di una critica alla dimensione ontologica contemporanea, sempre più compromessa in una fiction del reale che ne semplifica i significati nell’icona e li impone di forza al mondo. La dimensione di questa ricerca è tutt’altro che spettacolarizzazione dell’immagine. L’artista tenta semmai di ridare dignità e colore a personaggi altrimenti squalificati nel mosaico di relazioni sociali attuali, ipersature di semiosi stereotipe.
E lo fa attraverso la sparizione del fondale dietro un bianco “prepittorico”. Sarà normale quindi rincorrere i profili di ogni sagoma -a partire da quell’unica sfocata che dà movimento alla visione- per non annegare nel biancore sordo che le avvolge. La colla e il gesso con cui Zeni riempie ogni interstizio della scena è equivalente speculare, ma invertito, delle sculture in gesso di George Segal. Nei casi limite il background dell’opera giunge a un “tuttoluce” di materia bianca, che annulla ogni cognizione dello spazio. Lì il pensiero comincia a vacillare insieme alla visione. A dominare solo il bianco; non una citazione architettonica né le ombre portate dei corpi, ma una vaga impressione di piani prospettici creata dal digradare proporzionato delle figure.
Relazioni spezzate e senso di separazione servono in fondo a rivelare un po’ della perversa meccanicità di ogni atto quotidiano, in cui il rischio è sempre quello di dileguarsi nella circolarità di un pensiero confermante e generativo di comportamenti univoci. Ritagliati dal loro ambiente naturale (o culturale) d’azione, questi individui sembrano rifondare il valore dei loro atti all’interno di nuove metafore di senso, in parte affini alla poetica metafisica delle sospensioni misteriose. Il principio di ambiguità creato da ogni relazione interna al quadro riflette il proliferante anonimato dei recenti stati di vita associata; quelle forme di vita contemporanea in cui la pluralità dell’esser-molti -scrive Virno-, consiste proprio in una rete di individui coinvolti in continui processi dinamici d’individuazione della propria singolarità all’interno del comune preindividuale.
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