Palazzo Reale, mostra Corpus Domini, 34 artisti internazionali e 111 opere tra installazioni, dipinti, sculture, disegni, video e fotografie. Il filo rosso? Il corpo, in qualsiasi forma – e non forma – possibile. Ci sono uomini e donne iperreali da scrutare in ogni dettaglio, dai turisti di Duane Hanson al busto oltre misura di Zharko Basheski. E ci sono corpi evocati per assenza, come quei cumuli di abiti neri di Christian Boltanski, un tempo appartenuti a qualcuno e ormai abbandonati, senza identità né gerarchia. Sono tutti lì, presenti e percepibili, a loro modo. Corpi veri e corpi dello spettacolo, perfetti e modificati, minuscoli, enormi, palpabili, simulati, immaginati. Corpi gloriosi e rovine dell’anima. Tutti, senza alcuna distinzione.
«Non vi farò una visita guidata», lo dice subito la curatrice Francesca Alfano Miglietti, rivolgendosi a noi, pubblico in sala. «Che nessuno di voi si senta visitatore in questa mostra, ma opera, e che veda ciò che vuole». Niente spiegazioni quindi, a guidarci per mano, nessun pannello esplicativo o frase a effetto ad accompagnarci lungo il percorso della mostra. Corpus Domini, e così deve bastare. E allora vediamo e interpretiamo, corpi tra i corpi delle sale.
Ci addentriamo e ogni spazio è un amplificatore di storie, di emozioni che arrivano forti, contrastanti, dall’inizio alla fine; a partire dalla prima sala, un omaggio a Lea Vergine e alla sua critica militante, tutta intrisa di incontri e di ricerca, di corpi e relazioni. Ed ecco subito le donne ribelli di Carol Rama, occhi truccati e organi sessuali in vista, pronte a reagire a una società che sa solo etichettare. L’installazione sonora di Gino de Dominicis, D’Io, che cattura la risata dell’attore Vittorio Bignardi: non la vedi, eppure c’è – e ingombra, e si fa presenza. Le nuotatrici di Carole A. Feuerman, a occhi chiusi, nascondono in dettagli perfetti chissà quali pensieri. E ancora Franko B, che chiude i sentimenti nelle sue valigie, tracce tangibili di esistenze profondamente reali.
«Questa mostra è un appello», prosegue la curatrice nella sua introduzione. «Gli artisti non vogliono rassicurare e non vogliono agitare, vogliono soltanto far vedere». E allora vediamo. Vediamo il mondo in miniatura restituito da Charles LeDray e ci disorienta scoprire abiti, grucce, scaffali in piccolo formato – un atelier non esattamente su misura. Passiamo attraverso Mare Mediterraneum, l’opera di AES+F che rievoca corpi, sessualità, sogni ed etnie, e poi le mescola insieme. Restiamo ipnotizzati davanti ai volti delle Biografías di Oscar Muñoz, che si creano e si distruggono, risucchiati da uno scarico sonoro – dove andranno a finire? E ci interroghiamo ancora sulle scarpe di Chiharu Shiota, sugli incontri a cui hanno condotto, su quei fili rossi che indagano, senza risposte, le loro impalpabili relazioni.
«In questa epoca incerta, come incerto è il ruolo degli umani sul pianeta, in questo mondo simulato, che ha destabilizzato i principi e i modelli della realtà, si è inevitabilmente compromesso il concetto di umanità». Scrive così la curatrice sul catalogo edito da Marsilio, a ulteriore conferma delle nostre più altalenanti suggestioni. E aggiunge: «Questo mondo irreale, questa realtà troppo reale, diffonde un senso di indecidibilità totale: nessuno sembra più in grado di rispondere alla domanda su che cosa faccia parte o meno del mondo reale. E in una società accecata che ha perso il contatto con il reale, e che soprattutto ha smarrito nell’oceano di immagini, in cui tutti navighiamo, la capacità di vedere, eccolo lì il corpo… il corpo dell’arte».
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Volevo ringraziare Erica Roccella per la bella e precisa recensione alla mostra Corpus Domini.
Grazie, davvero, per lo stile, per le parole che ha scelto, per aver capito.
Grazie e complimenti
fam