Salvo (Leonforte, 1947 – Torino, 2015) è oggi un artista estremamente apprezzato, tanto a livello di critica quanto di mercato. Nel contesto della Torino degli anni sessanta e settanta, ma poi anche in seguito, fino alla sua scomparsa, la sua figura si è sempre distinta per la scelta di un percorso indipendente e profondamente libero, capace di andare oltre gli schemi. Dapprima autore di lavori decisamente concettuali, a partire dal 1973 Salvo compie una sorta di apparente cambiamento di percorso, realizzando opere pittoriche giudicate superficialmente come molto facilmente decifrabili anche da un pubblico meno avvezzo alla profondità di pensiero dell’arte concettuale allora in voga. In realtà, tuttavia, a ben guardare, nell’opera di Salvo la profondità non va mai perduta, così come la ricchezza di pensiero. Così come nelle prima opere, anche nei dipinti i riferimenti culturali e i livelli di lettura abbondano, creando un affascinante intrico di possibili interpretazioni e un significativo spessore intellettuale.
Nel corso degli anni la figura di Salvo è stata protagonista di molte mostre ed eventi internazionali, da quando l’artista era ancora in vita fino ad oggi. Solo qui a Torino è da ricordare, tra le altre, la mostra retrospettiva alla Gam, nel 2007, con l’artista ancora vivente e presente.
Questa mostra alla Pinacoteca Agnelli si distingue però dalle precedenti occasioni di conoscere l’opera di Salvo per il sofisticato taglio curatoriale, che se da un lato si impegna a ricostruire luoghi e situazioni specifiche della vita artistica e della ricerca del personaggio (è sostanzialmente ricostruita e ripetuta con attenzione quasi filologica una importante personale del 1973), d’altro canto insiste sul tema della continuità tra le due fasi della sua opera, puntando a una sostanziale sintesi. La tesi sostenuta dal team curatoriale è che non c’è divisione netta tra arte concettuale e pittura figurativa in Salvo. In poche parole, qui la pittura si fa strumento di espressione artistica non meno ricco a livello concettuale, culturale e persino filosofico di quanto non accada con le opere del primo periodo.
Questo concetto, ribadito dalle opere di Salvo, è qualcosa che appare qui tangibile e intrigante. La separazione tra arte concettuale e figurativa, così come negli anni ottanta tra arte povera e transavanguardia è bensì funzionale agli storici e ai critici, ma dice forse troppo poco sulla capacità di parlare delle opere, sul loro porsi in dialogo con una tradizione culturale a tutto tondo, elaborandola e dandole forma. Questa osservazione è tanto più interessante in un contesto più ampio, guardando al recente e crescente interesse per la pittura in ambito arte contemporanea. La pittura, ancora una volta, non si pone, quindi, in modo contraddittorio o competitivo con l’arte concettuale, ma anzi rappresenta uno dei possibili mezzi per dar vita ad opere intellettualmente rilevanti e concettualmente pregnanti.
Insieme alla personale dedicata all’artista torinese, in occasione di Artissima presso la Pinacoteca Agnelli si inaugurano anche due nuove opere per la Pista 500. Per il 2024 sono state scelte opere di artiste che, con grande attenzione all’attualità, riflettono su tematiche di genere. Sulla Pista 500 campeggia allora la grandiosa installazione ambientale di Monica Bonvicini, una enorme scritta al neon che recita le parole: Come run with me (2024); mentre il billboard che l’anno scorso era dedicato all’opera di Felix Gonzales Torres vede ora protagonista un lavoro di Chalisée Naamani. Si tratta di un’opera fotografica attentissima ai dettagli che porta il titolo My mother was my first country. Naamani è un’artista iraniana e l’opera tratta del diritto di voto alle donne. Una curiosità: tra i molti dettagli che arricchiscono la lettura dell’opera, è presente una citazione dal film di Paola Cortellesi C’è ancora domani: stringete le schede elettorali come biglietti d’amore.
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