Nicola Samorì, Primo Martire, 2024
C’è chi festeggia la seconda di Natale – vuole la tradizione che il menù di santo Stefano sia spesso caratterizzato da pietanze semplici e da una certa varietà regionale, oltre che dal riutilizzo degli avanzi del giorno precedente – chi festeggia un anniversario e chi festeggia il proprio onomastico: che sia un papà, un nonno, un suocero, un compagno o un conoscente, oggi buona parte di noi farà gli auguri doppi, o tripli (io, per esempio, ho ben due persone e tre motivi!).
Della vita di Stefano non si sa molto, potrebbe essere nato in Grecia, oppure nato altrove ed educato in Grecia. Certo è che fu incaricato dagli apostoli di provvedere ai bisogni di vedove e orfani delle comunità cristiane appena costituite, diventando così di fatto il primo di sette diaconi. Fu accusato di blasfemia: al tempo le autorità proibivano la predicazione cristiana. Fu dunque condotto davanti al Sinedrio, che eseguiva le condanne a morte, e morì per lapidazione: è considerato protomartire fu il primo martire ucciso per la sua fede in Cristo.
La sua raffigurazione ha attraversato i secoli, prima come narrazione puramente biblica, poi come riflessione psicologica e concettuale sul martirio. Nicola Samorì, per esempio, dopo le versioni datate 2010 e 2024, nel 2024 per l’Abbazia di San Giorgio Maggiore a Venezia – in occasione della mostra Petrae Fidei – ha reinterpretato il martirio di Santo Stefano attraverso il suo tipico linguaggio di scorticamento e collasso della materia pittorica. «La lapidazione ha avuto luogo fisicamente sul corpo della pittura, aprendo squarci nel modellato ad olio ancora molle – aveva spiegato Samorì – la mia trascrizione del modello antico è piuttosto fedele, ma la trama della pittura è sconvolta da incursioni che precipitano il codice barocco verso la gestualità dell’informale».
Chi prima di lui? La storia dell’arte ci offre nomi come quelli di Giotto, che raffigurò Stefano con un’eleganza estrema e pietre preziose sulla veste che richiamano i sassi della lapidazione nel celebre pannello al Museo Horne di Firenze; di Carpaccio, sue sono la Predica di Santo Stefano e la Disputa di Santo Stefano – dove il santo è un intellettuale che dialoga con i saggi – che spiccano nel ciclo che realizzò per la Scuola di Santo Stefano a Venezia. Insieme alle loro, possiamo recuperare testimonianze anche da Annibale Carracci e Giulio Romano, che hanno dipinto scene dinamiche e drammatiche della lapidazione, influenzando per secoli la percezione visiva del martirio, e Rembrandt, il Martirio di Santo Stefano è la sua prima opera firmata -19 anni – in cui introduce il gioco di luci e ombre per isolare la sofferenza del santo dalla folla violenta.
Oltre ai classici, testimonianze contemporanee provengono da Luigi Ontani: una versione molto nota è un piatto in ceramica del 1985 che porta il titolo di San Stefanotto e ritrae il volto dell’artista trasformato nella figura del santo mentre le pietre – del martirio – sono disposte in modo decorativo attorno al capo o sul corpo, trasformandosi in elementi quasi ornamentali e surreali. Il titolo riflette il tipico uso del diminutivo da parte di Ontani, volto a sminuire la solennità del soggetto sacro per inserirlo in una dimensione più intima, ludica e narcisistica. Non manca all’appello nemmeno Michael Landy: Saint Stephen è il lavoro del 2014 – lavoro del diploma – che consiste in una testa di uomo più grande del naturale, sospesa al soffitto e realizzata in fibra di vetro, accompagnata da tre rocce realizzate in legno di tiglio. Landy modellò la testa sulla figura del martire cristiano Santo Stefano, raffigurato da Carlo Crivelli nella pala d’altare Demidoff (1476), oggi conservata nella collezione della National Gallery di Londra, che mostra il martire con tre grandi rocce che poggiano delicatamente sulla sua testa e sulle sue spalle, in contrasto con la violenza della sua morte. L’interpretazione di Landy – tra l’altro – prese parte alla mostra Saints Alive, e fu esposta per la prima volta all’Antiguo Colegio de San Ildefonso di Città del Messico nel 2015, con l’invito al pubblico lanciare pietre di tiglio contro l’enorme testa appesa di Santo Stefano, distruggendo lentamente la scultura nel tempo: dopo ogni mostra, la testa e le pietre venivano restaurate, ricominciando così il processo partecipativo.
Chiudiamo il nostro viaggio nell’iconografia del Santo con una serie di dipinti intitolati The Martyrdom of Saint Stephen realizzati da José Clemente Orozco, uno dei grandi muralisti messicani, che ha trasformato la scena religiosa in una critica al silenzio complice dei cittadini di fronte ai massacri della guerra, in cui le pietre che colpiscono Stefano diventano simbolo di ogni oppressione ideologica.
È Santo Stefano, auguri a tutti i nostri e vostri Stefano, e auguri a ognuno di voi in questo giorno, che oltre la gioia di stare insieme porta con sé il coraggio della parola, il perdono come atto rivoluzionario e la coerenza tra servizio e sacrificio.
Tanti auguri!
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