Seducenti, avvolgenti, magnetiche, ammalianti, spaesanti. Un’apoteosi di movimento e suono senza requie. Un labirinto visivo e sonoro nel quale immergersi e perdersi, fino a non volerne uscire più. Solo così si può descrivere il percorso espositivo pensato dall’artista svizzero Zimoun per Villa Manin di Passariano, in provincia di Udine. Nove ampie installazioni cinetico-sonore di natura ambientale – a volte delle vere e proprie architetture – che si dipanano per altrettante sale, in un susseguirsi avvincente tutto da scoprire. Opere da esplorare, attraversare, traguardare, ascoltare a distanza, guardare rasenti, nate dalla mente del creativo bernese ed esperiti – questo il termine più adatto – fino al 17 marzo prossimo nella dimora gentilizia immersa nella campagna friulana.
Grande protagonista della mostra è innanzitutto il più umile dei materiali, il cartone, in special modo nella forma di scatola, scatolino, scatolone da imballaggio. Percosso, impilato, affastellato, incastrato, incollato, affiancato. E poi tasselli di legno, sacchetti, aste metalliche, contenitori di vetro, sfere di cotone, cavi, viti. Solo per citare alcuni dei materiali impiegati. Soprattutto materiali inerti che sembrano improvvisamente vivere di vita propria, animati, letteralmente, da motorini elettrici, a ritmi variabili: dall’oscillazione impercettibile alla percussione forsennata. L’esito è una polifonia di sonorità evocative: ronzare, pulsare, ticchettare, fremere, sfregare.
Complici una serie di interventi di restauro, le partiture architettoniche seicentesche della villa dogale, gli affreschi illusionistici, gli arditi scorci pittorici, i fastosi stucchi, sono stati liberati dai supporti espositivi temporanei che li eclissavano e restituiti alla piena fruizione del pubblico. L’artista ha potuto così lavorare in centro sala, ma soprattutto ingaggiare un dialogo serrato con lo spazio, ora per contrasto o ora per affinità, iscrivendosi perfettamente – a volte in chiave ironica, a volte ludica, a volte addirittura eroica – negli ambienti.
Ma le opere di Zimoun sono site specific anche perché trovano ispirazione e riverbero nelle atmosfere della villa stessa, a cominciare dal suo lussureggiante parco, con i suoni della natura in cui la magione è immersa: il ronzare delle api, il frusciare del vento tra gli alberi, il cinguettare degli uccelli, il tamburellare della pioggia sui vetri o sul tetto. Per un uditore attento, non mancano però richiami anche meno romantici, più drammatici, come quelli alla Storia della terra friulana; è il caso dei lampadari che tremano sotto le scosse del terremoto del ’76 e che a tratti sembrano essere evocati dal ripetitivo e ritmico percuotere la materia vitrea.
Le macchine sonore di Zimoun sono quindi dispositivi della memoria e delle emozioni, pensati per avvolgere e coinvolgere il visitatore, ora attratto, ora repulso, l’orecchio a volte sedotto, a volte offeso. Comunque affascinato.
L’esposizione, curata da Guido Comis, è promossa da ERPAC – Ente Regionale per il Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia, che ha in gestione la villa dell’ultimo doge Manin –, con il sostegno di Fondazione Svizzera per la Cultura Pro Helvetia. Per realizzare le sue ingegnose installazioni il virtuoso sound artist di Berna si è avvalso della collaborazione di un gruppo di studentesse e studenti dell’istituto superiori ISIA Roma Design sede di Pordenone, che per alcune settimane hanno potuto risiedere nella villa per collaborare, giorno dopo giorno, hands-on alla realizzazione dell’esposizione lavorando letteralmente gomito a gomito con l’artista stesso e con il suo staff. Un’esperienza unica che l’ERPAC spera di replicare anche per il futuro. Un’ulteriore nota di merito per una mostra da visitare assolutamente, che segna soprattutto il ritorno deciso del contemporaneo a Villa Manin.
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