Dora Stiefelmeier, Mario Pieroni e Alberto Moravia in occasione dell'inaugurazione della mostra di Gilbert & George, Galleria Pieroni, Roma, 1984, ph. Enrica Scalfari
Dora Stiefelmeier è uno di quei personaggi che non ha bisogno di spille sul petto: ciononostante, nel 2013 aveva già ricevuto la medaglia di Onore al Merito da parte del Presidente della Repubblica. Lunedì sera, invece, è stata la volta del Premio Arte: Sostantivo Femminile che si è svolto alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma. Il premio, giunto alla tredicesima edizione, è stato ideato da Maddalena Santeroni, Presidente dell’Associazione Amici dell’Arte Moderna a Valle Giulia, e organizzato in collaborazione con la direttrice del museo, Cristiana Collu.
Insieme a Lea Vergine sei stata una delle prime donne a far conoscere in Italia il lavoro di Meret Oppenheim. Cito lei perché è tra i simboli del Surrealismo, ma in parte ostracizzata dagli stessi surrealisti. Parlaci di un altro episodio nella tua carriera che è stato così pionieristico.
«Mi fa piacere che Meret venga citata proprio in occasione di questo premio, perché è stata un personaggio fondamentale, di cui ho avuto l’onore di essere amica. Il problema comincia a monte, da uno scoraggiamento generalizzato delle donne: Meret questo lo aveva capito bene.
All’opposto, nel mio lavoro, mi ha sempre guidato una sola cosa: incoraggiare non le artiste di per sé, ma quelle che insieme a Mario (Pieroni, ndr) consideravamo estremamente capaci. Un esempio su tutti è stata Isa Genzken, che avevamo conosciuto nello studio di Gerhard Richter. Ci siamo battuti per valorizzare il suo lavoro, piuttosto che la sua relazione con il pittore: aveva semplicemente talento e la storia ci ha dato ragione. Voglio ricordare anche altre donne che ho incontrato nel mio cammino: Donatella Landi, Donatella Spaziani e Carla Accardi (con cui abbiamo spesso dibattuto di femminismo)».
A proposito di femminismo, a metà degli anni ’70 sei stata tra le fondatrici della rivista “Nuova DWF – Donna Woman Femme”, periodico di studi internazionali sulle donne. Era quello un tempo in cui il concetto di “quote rosa” era malvisto da più parti. Ti immaginavi che, dopo quasi cinquant’anni, questo termine sarebbe stato ancora così vitale nel dibattito?
«Lo immaginavo e l’ho anche scritto. A quel tempo quelle due parole sembravano un’umiliazione. Ci ho ripensato quando sono diventata mamma e nonna, ricalcando sulla mia famiglia le orme del mio percorso. Una donna che ce la fa è già una persona che definirei brava sopra la media; il fatto che le cosiddette “quote rosa” promuovano donne mediocri è una bugia».
Come ti immagini questo premio tra 100 anni?
«C’è ancora una struttura patriarcale che è dura a morire, anche se quando avevo vent’anni credevo che fosse qualcosa che ci stavamo lasciando alle spalle. Tutto questo rende, oggi, questo premio più che giusto. Ma nel futuro, spero che non ce ne sia più bisogno».
Tra le altre premiate del Premio Arte: Sostantivo Femminile ci sono Barbara Alberti, Simona Argentieri, Stefania Auci, Renata Boero, Barbara Gavallotti e Beatrice Rana. L’iniziativa è promossa, tra gli altri, da Terna, Comin & Partners e La forza e il sorriso Onlus.
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