La danza delle sibille di William Kentridge, alla Certosa di San Martino

di - 16 Novembre 2021

Lo scorso giugno, fra i primi eventi del dopo lockdown, si apriva al pubblico, nel Museo di San Martino a Napoli, la raccolta dei reperti sopravvissuti del più imponente complesso fittile del Rinascimento meridionale, ritrovato sotto al pavimento della cappella della Cona dei Lani, nella chiesa di sant’Eligio al mercato, finalmente installata nella sala della Spezieria. La rocambolesca vicenda, di cui scrivevamo in questo articolo, è premessa necessaria di “Waiting for the Sibyl”, nuovo progetto espositivo di William Kentridge,  visitabile dal 14 novembre 2021 al 13 febbraio 2022 nella sala gemella di fronte a quella della Spezieria. L’iniziativa è scaturita da un’idea di Michele Iodice ed è stata fatta propria da Marta Ragozzino, dirigente della Direzione regionale Musei Campania, in collaborazione con la Galleria Lia Rumma.

Cona dei Lani, allestimento al Museo di San Martino

L’emozione di immergersi per la prima volta in quella scoperta tuttavia era permeata del senso di disperazione per quello che si era perso, per l’impossibilità di ricostruire la dimensione spaziale, la composizione e il dialogo fra gli innumerevoli protagonisti di un complesso statuario non documentato se non da materiali d’archivio. La frustrazione del visitatore, come quella dell’archeologo che ritrova il bottino di un tombarolo che ha smembrato in modo irreparabile un luogo sacro, in quel primo approccio veniva compensata dal fremito per l’originalità dei volti, la dovizia di tracce di colore e decorazioni, i segni di lavorazione della terracotta emersi dal minuzioso restauro e osservabili  a distanza ravvicinata.

Perché questa possibilità di scrutare da vicino i volti e le figure plasticamente delineate consente di coglierne le profonde risonanze e l’ambiguità dei riferimenti ancora più ricchi di quelli che una visione d’insieme avrebbe suscitato. Segni e connotazioni dei personaggi che nel passato erano leggibili e forse univocamente interpretabili ora invece sono sorgente di specifiche evocazioni e delle suggestioni più varie.

Fra re, profeti, angeli in volo e pastori spiccano per le loro originali fisionomie le sibille. La figura della sibilla si è adeguata nei secoli alle religioni occidentali dominanti: figure leggendarie, le mediatrici tra il dio Apollo e l’uomo, in grado di preannunciare eventi e calamità naturali, non persero comunque la loro funzione con l’avvento del cristianesimo nel quale come i profeti divennero annunciatrici della venuta di Cristo. Ed è proprio una sibilla la sacerdotessa citata da Dante che, interrogata, trascriveva gli oracoli su foglie di quercia: i suoi vaticini, disperdendosi e ruotando, sospinti dalle folate, all’interno dell’antro di Cuma confondevano i destini, diventando simbolo di incertezza e del tempo che fluisce, muta e ritorna.

E questa mitologia viene magicamente reinterpretata nell’inesauribile capacità rappresentativa e comunicativa di William Kentridge, artista di terre lontane ma profondo conoscitore anche della cultura classica. Il progetto propone il confronto e il dialogo visivo fra le raffigurazioni rinascimentali e la sua video installazione Sibyl – già presentata nel maggio 2020 nella sede di Milano della Galleria Lia Rumma all’interno della mostra personale “Waiting for the Sibyl and other histories”, che seguiva l’anteprima mondiale dell’omonimo lavoro teatrale al Teatro dell’Opera di Roma.

Still da William Kentridge, Sibyl, 2020

Con uno strumento avvolgente come il video, Kentridge definisce una rappresentazione in movimento frenetico sulle pagine sfogliate di un flipbook, pagine di vecchi libri tra cui antiche edizioni della Divina Commedia, ritmato dalle composizioni vocali del musicista e coreografo Nhlanhla Mhalangu. Con carboncino e inchiostri di china e d’India tratteggia figure femminili che danzano in costumi evanescenti che si rimescolano per evocare antichità e tribalismi; le stagioni della natura scivolano su alberi con rami e foglie nere che si scompaginano mentre messaggi icastici, come vaticini o memento,  scorrendo sulle immagini, penetrano nelle nostre coscienze riproponendo ancora una volta il suo messaggio intriso di una critica inequivocabile alle dittature, al razzismo e alla connivenza nel silenzio. Un dialogo drammatico fra prodotti artistici di epoche lontane, espressi con linguaggi diversi sul trascorrere del tempo, la violenza degli eventi, i tentativi di avvicinarsi all’ignoto.

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