Esattamente 38 anni or sono alcuni lavori iconici di Nanni Valentini (Sant’Angelo in Vado, 1932; Vimercate, 1985) occupavano il PAC – Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano.
È il 2022, non ci sono più i mitici Sette savi di Fausto Melotti a fargli da spalla, ma se volete riprovare un po’ di quell’esperienza ABC-ARTE vi aspetta, per la curatela di Flaminio Gualdoni e Luca Bochicchio.
Alla seconda personale presso la galleria genovese (la prima, del 2019, ve la raccontavamo qui), Valentini continua ad appassionare per la sua attitudine a sensibilizzare la materia, nell’ottica di voler superare la stessa materia. Di colpire al sacro toccando il terreno. Cose che capitano a chi non si dà dei limiti. Chi per inclinazione naturale non si ferma, e non si lascia abbindolare dai ritmi di causa-effetto.
C’è chi si sente arrivato, sempre, comunque e dovunque. E chi probabilmente è vissuto nella consapevolezza che non vale tanto la logica del “chi si ferma è perduto”, ma del “chi si ferma non sa cosa potrebbe perdere”. Inclusa la possibilità di arrivare alla garza trattandola coi pigmenti blu. Blu come il cielo, come il velo di Maria nell’iconografia cristiana. Valentini le ha chiamate Trasparenze, e in mostra sono l’editing sull’originale milanese. Ascensionali, come l’iconografia primi ’80 di una Trasparenza (Scala) che s’impone senza inizio né fine. È l’infinito lineare di Piet Mondrian che torna inquietante, a raccontare qualcosa che oltre non ci è dato di vedere/sapere.
Non è compito dell’arte, o chi per lei, dare certezze. Spetta qui a Valentini assicurarci di poter credere in pezzi coevi tipo Volto e Luogo, smezzato tra la terracotta da un lato, e dall’altro ancora le maglie larghe di una garza trattata come una sorta di sindone. Sacralità, o più terrenamente scrittura resa possibile dall’esperienza di chi prima di lui ha messo in discussione il concetto di materia. Storie dell’arte, di quando Arturo Martini, lavorava la materia smaterializzandola di fatto. Quando non è un soggetto la parte interessante del tutto, ma la sua atmosfera, l’Atmosfera di una testa.
Ma l’atmosfera si fa pesante. Schiacciata in un moto orizzontale, terreno come il marrone-rossiccio terracotta delle Derive, sculture a pavimento che ancora oggi custodiscono gelosamente tutta l’energia valentiniana.
Dal rasoterra di una Deriva (Sole) fino alla prestante verticalità di una Annunciazione (Colonna), terracotta vetrificata che si divide tra l’effetto di blocchi massicci, e quello di carta velina mossa dal vento. Duecentodieci centimetri d’incombenza. Catartica, come la cima di una fornace. Come l’accoglienza trascendentale offerta sull’altro lato da Annunciazione: appena 10 centimetri in meno e una struttura a misura d’uomo, che smarca il concetto di statuaria da quello di prodotto autoreferenziale.
Categoria masterpiece per la presenza scenica di Dialogo (Capitelli), levitante in mezzo a tutto quel bianco, massimizzazione di un contatto parafrasato in una convulsione di concavi e convessi. Più da vicino, la parola passa a un sistema di stratificazioni, che dal cretto superficiale penetrano in profondità, tra le fratture di una terracotta di per sé incoerente. Di per sé vitale.
Nota del redattore: una foto può restituire solo in piccola percentuale il suo reale valore, un articolo anche.
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