Andy Warhol non ha mai fatto distinzioni tra arte e commercio. E perché mai avrebbe dovuto? D’altra parte, iniziò nel mondo della moda e della comunicazione, per poi passare al design dei tessuti e, infine, diventare il nostro incommensurabile e incontenibile genio della Pop Art, riunendo un po’ tutte le sue esperienze. C’è sempre una mostra su Warhol da qualche parte e, in questi giorni, a Londra, negli spazi “su misura” del Fashion and Textiles Museum ce n’è una diversa dalle altre: semplicemente, “Andy Warhol: the Textiles”.
Visitabile fino al 10 settembre 2023, viene annunciata come una prima visione assoluta questa ricognizione del design per tessuti e abiti realizzati negli anni ’50. Pattern creati da varie aziende tessili o dell’abbigliamento, talvolta regali personali, una produzione disseminata nello spazio e nel tempo di cui per parecchio tempo si sono perse le tracce e dove il “brand” dell’artista ancora non era riconoscibile. Il luogo era il Garment District di New York, su questi lavori e lavoretti l’artista si faceva le ossa – e la mano -, sperimentando un lavoro quotidiano fatto di variazioni e ripetizioni.
Sono stati i curatori dell’esposizione londinese, Richard Chamberlain e Geoffrey Rayner – così lo raccontano – a imbattersi in un abito “designed by Andy Warhol”. Da questa scoperta si sono messi sulle tracce di altri articoli, girovagando, così continua la leggenda, per mercatini e negozi, rintracciando altri design “compatibili” per poi sottoporli al confronto con documentazioni d’archivio.
Ed eccoli qui oggi, davanti ai nostri occhi, vestiti e tessuti da conoscere e riconoscere tramite uno sguardo ravvicinato, per cogliere le origini dell’arte futura e immortale di Andy Warhol. Che, a quanto si dice, abitava con la madre in una casa piena di oggetti e mobili classici e antichi e non ha mai distinto nettamente arte e commercio. I concetti della serialità, della variazione infinita, del riuso, del riciclo, iniziano anche da qui, da questi abiti e tessuti sgargianti, coloratissimi, forse anche già un po’ pop.
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