Thomas Hoepker USA. Brooklyn, New York. September 11, 2001.
Riuscite a ricordare cosa stavate facendo, quell’11 settembre del 2001? È la domanda che ci poniamo a ogni anniversario degli attentati terroristici alle Torri Gemelle. Una domanda ingenua e di certo non casuale, come se volessimo ricavare una confort zone individuale, privata, in un evento che, a prescindere dalla distanza, poi avremmo considerato come una cesura collettiva, emotiva e anche visiva degli anni Novanta. C’era una volta un Occidente prima e dopo il muro di Berlino e, in un modo simile, c’è stato un mondo post 11 settembre. Il fotografo Thomas Hoepker si trovava bloccato nel traffico tra l’Upper East Side e il Lower Manhattan ma, anche a distanza di alcuni chilometri, provò a raccogliere le immagini di ciò che stava succedendo al World Trade Center.
E, come a volte capita quando si è alle prese con l’istantaneità della macchina fotografica, una scena perfettamente spontanea. Un gruppo di giovani uomini e donne, vestiti alla moda di quegli anni come se fossero dei personaggi di una sit-com, comodamente poggiati a un muretto, immersi nel sole della tarda estate. Facile immaginarli discutere delle vacanze appena trascorse, con leggerezza e tranquillità, mentre una vaporosa e inquietante nuvola caliginosa si espande dallo sfondo frastagliato di grattacieli specchianti.
Thomas Hoepker, oggi 74 anni e tra i fotografi più rinomati dell’agenzia Magnum, non pubblicò subito la fotografia, che comparve solo nel 2006, in occasione di un anniversario degli attentati al World Trade Center. L’immagine attirò subito l’attenzione e suscitò una accesissima polemica, venendo interpretata come l’allegoria dell’insensibilità dei giovani americani nei riguardi di una tragedia nazionale. Poi arrivò anche la risposta di una delle persone direttamente coinvolte, Walter Sipser, che nella foto compare nella destra: «ci trovavamo in uno stato profondo di shock e incredulità». Insomma, un travisamento del quale Hoepker sarebbe stato in parte responsabile, non essendosi premurato di parlare con le persone ritratte.
A prescindere dalle considerazioni sulle reazioni individuali, che non possono avere alcun valore allegorico o esemplificativo, visto che rientrano in quella sfera intima nella quale chiunque dovrebbe muoversi con cautela, il significato della fotografia va ricercato in ambiti diversi. Non solo come icona critica di un’epoca, una contraddittoria istantanea come accade, del resto, per ogni evento che sale al rango di mitologia. Ma anche come racconto della fragilità della storia, al di là della narrazione degli eroismi che, in molti casi, rappresenta una distorsione dell’individuo, deliberatamente perpetrata dai meccanismi di potere e di controllo.
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