Noi italiani, si sa, abbiamo tante piccole caratteristiche che, a seconda dei casi, possono essere pregi o difetti.
Tra queste caratteristiche, degna di nota, in questo momento, è la scarsa inclinazione alla “programmazione” e la corrispondente “vocazione all’urgenza”: dagli universitari che studiano l’intera notte prima degli esami ai professionisti che il giorno prima delle scadenze IVA intasano di chiamate il proprio commercialista, ai pensionati che pagano la bolletta il giorno della scadenza.
È nella nostra natura: rimandiamo fino alla fine, ed è probabilmente anche per questo che “darwinianamente” diamo il meglio quando siamo “sotto pressione”.
Lo abbiamo dimostrato anche nella pandemia, quando la nostra cittadinanza (o, per usare un termine caduto ormai in disuso, il nostro popolo) ha mostrato di essere potenzialmente migliore di quanto sia normalmente.
I nostri giornali, nel 2020, sono il riflesso di questa tendenza. Che può andar bene in determinate occasioni ma è meno premiante in altri.
L’emergenza COVID ha reso i nostri giornali e i nostri telegiornali degli appuntamenti per neonati appassionati di statistica, con grandi approfondimenti su algoritmi, contagi, indici, e via dicendo, Accanto alle notizie da Covid poi, le inezie più totali.
Il nostro anno “raccontato” dai media tradizionalisti è un anno all’insegna del COVID e nulla più.
La nostra concentrazione è stata praticamente dirottata totalmente sulla pandemia, e di colpo sono sparite le notizie sull’economia, sulla politica, dei problemi sociali, della concussione, corruzione, degli abusi di potere, dell’inefficienza, talvolta voluta, della nostra pubblica amministrazione.
In altri termini, siamo divenuti un Paese perfetto, Covid a parte.
Se di politica si è parlato, è stato in relazione alla pandemia, se di economia si è parlato, è stato in merito alle misure assunte o da assumere per rispondere alla pandemia.
Tutto lecito, senza ombra di dubbio se non fosse che far passare in secondo piano alcune informazioni non solo non sia utile, ma alla lunga, anche controproducente: la nostra politica, se guardiamo a “prima” di marzo 2020, era una politica “debole”, con populismi che emergevano, e antipopulismi che scimmiottavano.
Il tasso di crescita dei “fondamentali” della nostra economia era irrisorio, la nostra capacità di generare valore aggiunto erosa dall’insieme di misure fiscali spesso inique.
In questo 2020, l’Italia delle lunghezze amministrative e burocratiche; l’Italia delle perversioni legislative e dei comportamenti illeciti e illegali non è scomparsa.
Certo, la strategia del “nemico comune”, si è rivelata spesso efficace nella storia.
Ma ci sono criticità che non si debellano con tale strategia.
Ora che il COVID ha aiutato a mostrare che un’altra Italia è possibile, è forse arrivato il caso di riflettere su ciò che, nella “normalità”, crea quella distanza tra il “possibile” e il “concreto”.
Non è piacevole ricordare a tutti noi che i problemi dell’Italia sono ben più annosi del COVID. E se “non parlarne” servisse a far scomparire il problema, sicuramente questo sarebbe un periodo ideale.
Dato che, purtroppo, “non parlarne” non fa altro che far ingigantire i problemi, allora sarebbe il caso di individuare, in questo periodo, la possibilità di approfondire quelle “dinamiche” che hanno bloccato il nostro Paese così a lungo.
Programmare per evitare di dover ricorrere poi al bombardamento mediatico quando, finita la pandemia, le problematiche croniche del nostro Paese saranno arrivate in condizioni di emergenza.
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