La
ricerca esistenziale come fulcro tematico di un processo artistico che sfocia
gradualmente nella destrutturazione del reale, attraverso media differenti. La
decostruzione filmica monosequenziale del dato narrativo in struggenti frame
emotivi. Un viaggio fra gli orizzonti interiori che si celano nella metafora
del paesaggio.
La
personale di
Farid Rahimi (Losanna, 1974; vive a Milano) è un’esperienza percettiva
oggettivamente profonda nella sua unicitĂ . Un percorso artistico-esistenziale
che spazia attraverso diversi media, dai video ai dipinti con pittura liquida.
Di
origine afgana, Rahimi nasce come artista visivo. Per dieci anni si è dedicato
alla videoarte e da tre si è messo alla prova anche con la pittura.
Recentemente il paesaggio è divenuto oggetto privilegiato della sua indagine
artistica. Ma in realtà quest’ultimo non è altro che un “espediente”,
un pretesto formale per proseguire un percorso di ricerca che supera il dato
fenomenico per giungere al multiverso dell’astratto.
La
disgregazione del reale è attuata attraverso frame, fotogrammi pittorici,
immagini frammentate provenienti da media diversi, dal video alle opere
pittoriche. Fotogrammi esistenziali di moti dell’anima. Stralci, sfumature
d’immagini più che immagini
tout court. Visioni prospettiche diverse per esprimere il
medesimo argomento: una riflessione esistenziale che si libera in un
determinato percorso cronologico.
Questo
itinerario filosofico-artistico inizia con
Untitled Movie, uno dei video in mostra,
selezionati fra le produzioni di Rahimi dal 2001 a oggi. Il soggetto è un
innevato paesaggio di montagna, ripreso con una telecamera
“basculante” che inquadra, in monosequenza e ripetutamente, la parte
pianeggiante e quella montagnosa del paesaggio stesso. L’orizzonte mobile
rappresenta lo spostamento della prospettiva, l’alternativa; è una metafora
artistica dell’orizzonte interiore.
Nel
passaggio dalla dimensione video a quella pittorica, il processo astrattivo
diviene maggiormente evidente. Con l’impalpabile rarefazione delle nubi, la
levitĂ delle atmosfere, la desolazione di ambientazioni assimilabili a paesaggi
post-atomici. Soggetti sfuggenti della poetica pittorica dell’artista – in una
preponderanza cromatica di grigio, nero e bianco – sono i varchi, in particolar
modo le finestre, i non luoghi. La tecnica pittorica adoperata potrebbe
definirsi liquida: olio su tela e spray delle comuni bombolette.
Ma è
con l’opera video in animazione digitale che Rahimi tocca l’apice del processo
d’astrazione. I pattern a spirale che si susseguono con regolarità sul monitor
creano un particolare movimento ipnotico, un’illusione ottica: è un effetto
creato dall’elaborazione digitale. Un’ipnosi quasi psichedelica, se non fosse
per la sobrietà e la seriosità dei toni grigi. E, soprattutto, c’è un’ombra
nera che misteriosamente ricorre sui paesaggi di Rahimi.
Il
video rappresenta il passaggio finale del percorso filosofico che sottende
l’intera mostra: qui il dato reale è completamente assente. Siamo giunti al
paesaggio astratto in assoluto.
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La mostra è apprezzabile e ben calibrata sulla realtà bolognese. E forse la pittura è una delle poce strade sulle quali ci si può salvare dalla sindrome da ikea evoluta. Che non è altro che un neo-neo-neo-dada.
complimenti per il percorso di ricerca