Pop Corn #29: in Ossessione, la sensualità diventa motore di vita e morte

di - 25 Ottobre 2020

Nella provincia di Ferrara, dove è principalmente ambientato Ossessione di Luchino Visconti, Giovanna (Clara Calamai) è una giovane donna che ha sposato un oste più grande di lei per garantirsi un futuro tranquillo, quando arriva Gino (Massimo Girotti) un giovane vagabondo e scoppia tra loro una passione incontrollabile. Gino propone a Giovanna di fuggire assieme, ma lei non vuole rinunciare alla sua comodità e lui parte solo. Incontra un pittore, lo Spagnolo (Elio Marcuzzo) che lo aiuta sia economicamente che a trovare un lavoro, finché ad Ancona Gino incontra nuovamente Giovanna e il marito, proprio quando la stava dimenticando, e decide di tornare da loro architettando un incidente stradale in cui il marito muore. I due attraversano un momento complesso, tra sensi di colpa e un sentimento tossico che li porterà al tracollo.

Nel film Ossessione, tratto dal romanzo Il postino suona sempre due volte di James M. Cain (con un blocco distributivo negli USA fino agli anni Settanta a causa dei diritti), abbiamo una Giovanna che mostra i primi segni di insofferenza nei confronti di una società in cui la moglie è totalmente sottomessa al marito. In più, in tempi assolutamente non sospetti e al culmine della dominazione fascista, si abbandona ai sensi ed esprime il suo disagio sessuale con il marito, assecondando le avances di Gino, interpretato da un Girotti che ha 25 anni sembra una scultura da tanto è bello.

Siccome anche Visconti è consapevole del corpo di questo giovane attore, lo fa vedere nella sua sensualità sia agli occhi di Giovanna, che agli occhi addirittura del pittore che lo scruta di nascosto al buio (una scena che gli varrà una censura internazionale, con ritiro dalle sale da parte sia della Repubblica di Salò che dei nazisti).

Tornando alla moglie frustrata, il pensiero ossessivo per Gino e la sua totale incapacità di fuggire e vivere all’addiaccio, le fanno perdere il senno: il senso di stabilità di Giovanna le fa scegliere di esser complice dell’omicidio del marito, rilevare l’osteria, lavorare come una matta e recuperare i soldi dell’assicurazione sulla vita del marito, senza volerli spendere in nome di quel sogno borghese tanto osannato dagli anni del Ventennio.

D’altro canto, il nostro bel perdigiorno proprio di lavorare non ne vuole sapere ma non lo dice mai davvero, celando il suo Peter Pan dietro a una bella depressione alimentata dai sensi di colpa, in cui si permette di trattare male tutti: litiga l’amico pittore che lo aveva aiutato e che si rimedia un pugno; schiaffeggia in pubblico la donna che gli sta dando tutto, dopo essersi intrattenuto con una prostituta che si invaghisce di lui e lo aiuta a fuggire dalla polizia senza farsi pagare il servizio.

Viene da chiedersi che cos’abbia di interessante questo signore, a parte una bella quantità di vuote lusinghe e un corpo da urlo, che però lasciano il tempo che trovano, come si è ben accorta Giovanna: a chi non è mai successo, lo scapolone inafferrabile che poi, piano piano, capisci che è meglio lasciare che resti tale. Quando Giovanna è a casa e Gino torna da lei ricercato dalla polizia, c’è un momento bellissimo, una manciata di attimi, in cui lei non gli vorrebbe aprire la porta, come se fosse spaventata da se stessa e da quella voce, come se sapesse quanto quella relazione è tossica. All’inizio è risoluta, poi sempre più combattuta, mentre dalla stanza il fuoco si stringe sulla porta, sulla chiave e poi sulla maniglia, e sul suo viso appare una sequenza di espressioni che esprimono tutta l’angoscia di quell’esitazione, passando dalla rabbia, alla paura, alla disperazione, fino a giungere alla rassegnazione a quell’amore così sbagliato che sfocerà in tragedia.

Naturalmente il film, assolutamente innovativo per l’epoca, in cui non dimentichiamo che il fascismo non è ancora terminato, è stato fortunatamente salvato dalla distruzione e viene considerato l’inizio al Neorealismo italiano, opera prima di Luchino Visconti.

Clara Calamai, Ossessione, 1943, regia di Luchino Visconti

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