Categorie: curatori

Insegnanti e-staordinari

di - 25 Dicembre 2012
È circa un anno che collaboro con la Fondazione Ermanno Casoli. Viviamo sempre delle esperienze formative interessantissime, molto in linea con la tipologia di ricerca che da anni cerco di portare avanti, basando la didattica talvolta sull’emancipazione, altre volte sull’inclusione, ma in generale sempre nel segno di un rapporto frontale e ‘site-specific’.

A me interessa molto lavorare sui processi didattici e proporre modelli diversificati; ovviamente un punto importantissimo dell’esperienza è rappresentato dalla coralità, dalla inclusione e dalle dinamiche partecipative collettive, esperite e testate nella pratica.
Ma al di là delle mie intenzioni e dei miei interessi molto chiari, per fortuna ci sono sempre grandi sorprese! Certamente è possibile pianificare, proporre, favorire e mediare, ma le persone cambiano sempre e dunque i partecipanti sono determinanti non solo per la riuscita, ma anche per lo svolgimento del workshop, in base al loro background, agli obiettivi che si propongono e al tipo di coinvolgimento. Porto nel contesto del workshop, il mio background, le cose che so fare e quelle che posso condividere ed invito tutti i partecipanti a fare lo stesso, è davvero affascinante quando questo accade, e quando si negozia con se stessi, l’artista, gli altri partecipanti, il tempo, il metodo, le cose da fare, come farle e perché.

Penso che un’esperienza del genere mi aiuti a riflettere e a rendere più comunicabile il mio lavoro, ed è soprattutto per questo motivo che spero ce ne siano sempre altre. Ho insegnato sette anni in due diverse università spagnole, sto completando il mio PhD, insomma il percorso formativo e in generale la didattica sono parte integrante del mio lavoro e ne arricchiscono, discutono e modificano i contenuti e la stessa metodologia.

Ma questo non significa che creda nel fatto che il lavoro dell’artista oggi debba misurarsi in contesti e con interlocutori diversi da quelli abituali. Non credo in ricette o formule prestabilite, e forse in alcuni casi la coerenza con la propria ricerca e il proprio metodo siano anche doverosi, ma posso parlare per me, e io si, ritengo importante, a volte urgente e stimolante, poter allargare i confini della comunicazione di quello che faccio, trovare nuove metodologie, stupire anche le mie stesse aspettative e non limitare non solo i linguaggi e le contaminazioni, ma la stessa modalità di fruizione. Il cinema e la musica, oltre all’arte visiva, costituiscono le basi del mio background, e raggiungere un pubblico così ampio di interlocutori è un obiettivo che mi interesserà sempre.

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