Nel ricercare trame artistiche, connessioni di epoche e di menti creative, per scoprire nuovi orditi culturali che aprano a visioni molteplici di pensieri e immagini, Fredy Franzutti annoda fili sottili fino a comporre un tessuto policromo dove convergono diversi mondi artistici. Ed è un tessuto “concreto” il costume dei danzatori di “Straviolin”, sul quale è disegnato il quadro di Piet Mondrian Tableau I dai luminosi colori. In “Straviolin”, la nuova coreografia per la sua compagnia Balletto del Sud (debutto al Teatro Apollo di Lecce, con l’Orchestra Sinfonica Oles diretta dal maestro Maurizio Colasanti, e violino solista Alina Comissarova), Franzutti fonde, con la danza, la musica di Stravinskij, lo stile neoclassico del coreografo russo-americano George Balanchine, il periodo della corrente artistica della Bauhaus e la pittura di Mondrian. Sono, cioè, i fermenti creativi e innovativi, nonché anticipatori, di alcuni geni e tempi che hanno caratterizzato il Novecento.
Balanchine, per la coreografia, è stato l’equivalente di quel che è stato Stravinskij per la composizione musicale. Ha proiettato la sua arte in una dimensione nuova, ne ha riscritto i destini. Ha impresso un accento imprescindibile non solo al balletto ma a tutta la danza moderna. Dalla sua influenza nessun coreografo del nostro tempo è stato immune. Oggi lo costatiamo ancora una volta con Franzutti, che si misura, in questo suo lavoro – da inserire tra le più vivide creazioni originali degli ultimi anni e dal respiro internazionale – col linguaggio neoclassico assimilato dal magistero di Mister B. Questi, sul Concerto in Re maggiore per violino e orchestra di Stravinskij (prima esecuzione a Berlino, nel 1931), compose, nel 1941, una coreografia poi ripresa in una nuova versione 31 anni dopo col titolo “Violinconcert” per il suo New York City Ballet.
Va riconosciuto a Franzutti l’intelligente operazione di rievocare le suggestioni del musical berlinese degli anni Trenta – sul primo dei quattro movimenti di cui è composto il concerto –, e, nei successivi tre brani, tutto l’estro balanchiniano con un’architettura di danza dove vibra l’anima del neoclassicismo. Tra assoli, duetti, terzetti, sequenze d’ensemble, diagonali e linee poetiche che s’intrecciano, ne fa un purissimo balletto di forme ricco d’invenzioni, con soluzioni di movimenti stilizzati e senza storia, dove lo spazio viene aggredito, plasmato e ricomposto ritmicamente sulle geometrie di corpi che esplorano dinamiche concertanti, accenni cabarettistici e astrattismi pittorici riprodotti anche nei bellissimi costumi (di Elena Cretì) ispirati alla celebre tela di Mondrian.
Il rosso, giallo e blu – quei colori primari che rappresentano, per il pittore, il superamento della pennellata emozionale – sono le tinte sullo sfondo della scena che mettono in risalto le linee innervate dei corpi eletti come strumenti scolpiti sulla musica e carichi di gioia di danzare. Scatto, evanescenza, ticchettio delle punte, taglienti spigoli, plasticità, tessono un ricco manufatto compositivo dove la danza astratta focalizza la sua schematicità, il suo slancio, il suo rigore in un vivace brillio. Un’eleganza calligrafica che riscalda il bellissimo disegno coreografico, fedele alla musica e ben “dipinto” dall’ottima compagnia di diciassette elementi, tra cui i solisti Nuria Salado Fustè, Matias Iaconianni, Ovidiu Chitanu e Alice Leoncini.
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