Derive Suburbane: un archivio che racconta la bellezza dei luoghi abbandonati

di - 5 Marzo 2021

Derive Suburbane è attualmente il più esteso e approfondito archivio online di luoghi abbandonati. Partendo dalla Campania, ma con l’intento di allargarsi a tutto il resto del globo, gli interessi del collettivo si sono concentrati dai singoli edifici a interi paesi fantasma, dall’archeologia industriale ai resti di monumenti dimenticati. Abbiamo intervistato Lorenzo Jedermann, giornalista e docente universitario, appassionato di esplorazione urbana e ideatore del progetto.

Come nasce l’idea di Derive Suburbane?

«Per quanto sia in apparente opposizione con il senso costruttivo espresso dal termine “progetto”, dopo due anni ancora ci piace insistere sul fattore di casualità come uno dei criteri che guidano le derive. Se non altro perché il nome di questo (non) progetto è un omaggio ad una pratica situazionista che del movimento istintivo e non programmato fa un gesto fondante. Il senso delle derive è quello di sottrarsi ai percorsi prestabiliti e alle strategie di controllo dello spazio pubblico: non si pensi soltanto a forme evidenti come i processi di privatizzazione o ai divieti d’accesso; anche le traiettorie della routine quotidiana sono dettate dai ritmi del lavoro o del consumo, così come le rotte turistiche quasi sempre rispondono a percorsi prefissati. Ma per rispondere alla domanda: l’idea è nata per caso, da una semplice passione, ed è proseguita in modo emozionale e, certamente, in parte anche progettuale».

Perché creare un archivio di realtà abbandonate? Quanto è importante ricostruire l’identità dei luoghi?

«L’intenzione non è quella di comporre a nostra volta una “guida turistica dei luoghi abbandonati”, che finirebbe per omologarsi alle formule già esistenti. Gli “spazi-fantasma” devono il loro fascino, invece, proprio alla possibilità intrinseca di negarsi al consumo turistico. Il vero dilemma è questo: come ricostruirne l’identità? Come riportarli alla luce? Anche in questo non abbiamo seguito un programma bensì, per così dire, abbiamo “sentito” il luogo: talvolta ne abbiamo ricomposto i pezzi di storia, tramite fonti scritte e orali; talvolta abbiamo scelto la pura narrazione di un’esperienza esplorativa; per lo più abbiamo combinato le due forme di racconto, tra passato e presente».

Gli scatti di Derive Suburbane si muovono tra bellezza e degrado. C’è una volontà di denuncia nel progetto?

«L’immagine è il medium più immediato, ma crediamo molto anche nella parola. In principio era proprio il fascino del degrado ad attrarci: non abbiamo pianificato un atteggiamento di denuncia e, anzi, a qualsiasi tono sensazionalistico abbiamo preferito un taglio concettuale e para-artistico, tra fotografia e narrazione. Ma allo stesso tempo, per parlare ad un pubblico occorre un linguaggio fruibile: alla fine abbiamo forse creato un ibrido tra reportage, racconto e fotografia, anche stimolati dalle reazioni d’interesse degli utenti del web. Presto si sono fatti vivi altri “esploratori”, che si sono proposti come autori e hanno contribuito ad arricchire l’archivio. Più che cercare una veste accattivante, ci è parso sensato puntare sul coinvolgimento di una collettività, che in fondo è alla base del principio di ‘spazio pubblico’. Per noi però resta cruciale evitare di scivolare in facili proclami e stereotipi, anche perché, per questi luoghi abbandonati, tutto ci auguriamo tranne una conversione in mete per il turismo di massa che ne cancellerebbe l’identità più di quanto non faccia già il degrado architettonico».

Per rimanere aggiornati sulle nuove scoperte di Derive Suburbane e consultare l’archivio on line, potete cliccare qui.

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