Arianna Genghini Fabrizia 2022 Fotografia analogica 35mm, stampa digitale Courtesy of ODDA Magazine
Tratta dall’omonima rassegna ideata dall’artista e curatore indipendente Francesco Arena, la rubrica “OTHER IDENTITY – Altre forme di identità culturali e pubbliche” vuole essere una cartina al tornasole capace di misurare lo stato di una nuova e più attuale grammatica visiva, presentando il lavoro di autori e artisti che operano con i linguaggi della fotografia, del video e della performance, per indagare i temi dell’identità e dell’autorappresentazione. Questa settimana intervistiamo Arianna Genghini.
Il nostro privato è pubblico e la rappresentazione di noi stessi si modifica e si spettacolarizza continuamente in ogni nostro agire. Qual è la tua rappresentazione di arte?
«L’arte per me è prima di tutto estetica. Ho lavorato a lungo per far dialogare bene la mia estetica nella vita privata e nella vita pubblica e poi nel mio lavoro. Negli anni però mi sono resa conto che, per me, ogni rappresentazione deve possedere una complessità emotiva e narrativa che va oltre la semplice produzione massiccia di contenuti, di estetiche, che siano essi legati alla persona privata o alla persona pubblica. Per questo ho iniziato a dileguarmi molto, a cercare più nel profondo di me stessa e della mia produzione artistica, a produrre meno ma con un intento più definito e significativo, a impattare e restare nella mente di chi guarda per più di un secondo effimero».
Creiamo delle vere e proprie identità di genere che ognuno di noi sceglie in corrispondenza delle caratteristiche che vuole evidenziare, così forniamo tracce. Qual è la tua “identità” nell’arte contemporanea?
«La mia identità, personale e artistica, è fluida e curiosa, ha l’accezione dell’inizio e dell’eccitamento che un nuovo progetto o una nuova tecnica ti possono dare ma allo stesso tempo evolvo ad una velocità tale per cui non mi permetto di approfondire e sentirmi veramente padrona di qualcosa o sentirmi finita nei termini per esempio di un progetto creativo. Spazio dalla scrittura di sceneggiature, alla regia, al montaggio e alla fotografia analogica e digitale. Non posso identificarmi in niente e allo stesso tempo mi sento propensa a essere tutto. Odio definirmi e questo mi porta a crisi identitarie costanti, la non-definizione fa paura ma allo stesso tempo mi rende libera».
Quanto conta per te l’importanza dell’apparenza sociale e pubblica?
«L’apparenza sociale e pubblica non contano nulla per me. Per quanto sia sempre stata una persona in grado di stare al centro dell’attenzione, alle volte con il desiderio di esserlo e di piacere agli altri, mi sono sempre sentita nel profondo una personalità dileguata dalla mondanità. Apprezzo sempre di più il comfort della mia casa e delle poche persone che mi sanno accogliere veramente. Solo lì fiorisco veramente».
Il richiamo, il plagio, la riedizione, il ready made dell’iconografia di un’identità legata al passato, al presente e al contemporaneo sono messi costantemente in discussione in una ricerca affannosa di una nuova identificazione del sé, di un nuovo valore di rappresentazione. Qual è il tuo valore di rappresentazione oggi?
«Non ho mai stimato chi ricrea pari pari un’opera del passato o del presente, il plagio low-key, anche sotto forma di tributo. Io cerco di allontanarmi quanto più possibile dall’influenza di altri artisti, cercando un’identità che sia mia e che rappresenti me soltanto sia in termini di contenuto che di forma. Questo valore di rappresentazione oggi è molto meno tenuto in considerazione, almeno secondo la mia esperienza personale. Si cerca, ma poi ci si accontenta del famigliare, della replica di bassa qualità e a basso prezzo. In termini economici è molto più complicato avere la libertà di creare qualcosa dal nulla, qualcosa di completamente nuovo e mai visto. Ci vuole tempo di ricerca che non è pagato, ci vogliono mezzi e soldi da investire su qualcosa che è ignoto. Non è sicuramente una situazione win-win nell’economia odierna».
ll nostro “agire” pubblico, anche con un’opera d’arte, travolge il nostro quotidiano, la nostra vita intima, i nostri sentimenti o, meglio, la riproduzione di tutto ciò che siamo e proviamo ad apparire nei confronti del mondo. Tu ti definisci un’artista agli occhi del mondo?
«Io spero che sia il mondo a definirmi artista, perché io mi sento solo una comunicatrice».
Quale “identità culturale e pubblica” avresti voluto essere oltre a quella che ti appartiene?
«Avrei voluto tanto avere la possibilità di essere un’artista che non deve sforzare l’identità pubblica e non deve soccombere alle regole di mercato che snaturano l’arte. Avrei voluto essere molto meno volatile e conoscere molto meglio la mia arte in termini teorici e anche pratici. Avrei voluto essere una studentessa di cinema e di fotografia e invece mi ci sono semplicemente ritrovata e ho imparato da sola sul campo. Avrei voluto avere più mezzi, economici e teorici a sostegno di quello che faccio. Credo che tutto questo avrebbe favorito di gran lunga la mia autostima e la mia stabilità identitaria».
Arianna Genghini, nata in provincia di Como nel 1995, si forma prima come designer di moda al Politecnico di Milano e poco dopo segue un Master in fotografia di moda a Londra. Tornata a Milano inizia a collaborare con brand fashion come Chanel e Wolford e testate editoriali come Vogue Italia e D La Repubblica.
Le sue fotografie vengono esposte tra Parigi e Milano in mostre collettive tra cui il Photovogue Festival del 2022 e libri fotografici collettivi tra cui l’abbecedario Panorama of Contemporary Italian Fashion Photography del 2023; nel 2021 la sua prima personale si tiene in occasione del PhotoFestival di Ferrara. Nel 2022 l’urgenza di approfondire la sua tendenza alla scrittura e la sua passione per il cinema la portano a sceneggiare il suo primo cortometraggio narrativo, prodotto e girato a inizio.
Il 2023 segna l’anno di inizio per la carriera come regista per Genghini, che esplora lo storytelling ancora nella narrativa e nell’ADV di moda. Progetti futuri contemplano la scrittura del primo lungometraggio e la finalizzazione di una serie di progetti fotografici personali.
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