SALVATORE GRIFFINI - DOPO IL MATRIMONIO - 2021
Tratta dall’omonima rassegna ideata dall’artista e curatore indipendente Francesco Arena, la rubrica “OTHER IDENTITY – Altre forme di identità culturali e pubbliche” vuole essere una cartina al tornasole capace di misurare lo stato di una nuova e più attuale grammatica visiva, presentando il lavoro di autori e artisti che operano con i linguaggi della fotografia, del video e della performance, per indagare i temi dell’identità e dell’autorappresentazione. Questa settimana intervistiamo Salvatore Griffini.
Il nostro privato è pubblico e la rappresentazione di noi stessi si modifica e si spettacolarizza continuamente in ogni nostro agire. Qual è la tua rappresentazione di arte?
«Arrivare dritti al dunque evitando la solitudine che ora, più di un tempo, mi spaventa. Quello che faccio non ha nulla a che fare con me – da solo – ma racconta di me come addendo, miscelato alle malinconie di chi ha la tenerezza e il garbo di osservarmi al contempo.
Ho in testa un motivo e allora poggio le labbra per dare alle immagini il suono dell’armonica. Poi scavallo le emozioni, e pure la metafora, per sentirmi libero di agire senza cruccio.
Ho intrapreso relazioni affannose e amori introversi dentro sguardi, nei silenzi, già chiari.
Tutto è stato – un fatto – da raccontare dentro la lente.
Non ricordo quando ho cominciato esattamente ma son sicuro si trattasse, allora, di un capriccio. Sentivo già di parlare una lingua che avesse la voce di me a trent’anni, disinibito e stanco, e a quel punto l’ho inventata consapevole. Ho fotografato senza la curiosità d’indagare ma con il desiderio che l’altro mi svelasse i suoi segreti assieme ai malumori inespressi.
Il mio è un fabbisogno giornaliero che giornaliero non è, considerando le pause che prendo tra un progetto e l’altro; ma è nel riprendere fiato che annoio la fretta di parlare a tutti i costi.
Il privato lo prego perché sacro!».
Creiamo delle vere e proprie identità di genere che ognuno di noi sceglie in corrispondenza delle caratteristiche che vuole evidenziare, così forniamo tracce.Qual è la tua “identità” nell’arte contemporanea?
«Oddio…la mia identità nell’arte contemporanea spero somigli, sinteticamente, a tutte le forme che ho assunto modellato dall’esperienza fino a ritrovarsi, in quella attuale, considerevolmente cambiata. Resta complicato accollarsi la responsabilità di un riassetto ma è quello che ho fatto fino a qui.
Non voglio rappresenti materiale in esubero o qualcosa di cui abbiamo piene le tasche ma l’equivalente di una testa rasata e due occhi che continuino, mi auguro ancora a lungo, a -fare caso- al mondo. E mi piacerebbe non saperla sopita né morta tra vent’anni!».
Quanto conta per te l’importanza dell’apparenza sociale e pubblica?
«Personalmente ho sempre vissuto nei miei stessi contorni ma sarebbe poco sincero dire che, in generale, poco importi. Vivessimo in un modo in cui l’apparenza non conti, molti non avrebbero motivo di esistere. Pubblicamente intendo. Chiaro! La qualità del lavoro di un artista non trova, quasi mai, il supporto necessario e braccia da cui poter essere tenacemente sorretto. Fa parte di un triste gioco ma che io prendo come tale.
Per ESSERE devo, in qualche modo, APPARIRE e scelgo di farlo solo se necessario».
Il richiamo, il plagio, la riedizione, il ready made dell’iconografia di un’identità legata al passato, al presente e al contemporaneo sono messi costantemente in discussione in una ricerca affannosa di una nuova identificazione del sé, di un nuovo valore di rappresentazione. Qual è il tuo valore di rappresentazione oggi?
«Non sono preoccupato di riaffiorare ricordi o sollecitare richiami, anzi.
Grazie a ciò che è stato già fatto ho la possibilità di scegliere cosa nuovamente evidenziare e cosa tralasciare. L’ultimo film di Celine Song, ad esempio, mi ha ricordato quanto avessi amato “Blu Valentine” di Cianfrance. Le fotografie di Mapplethorpe e la Woodman m’infondono peccaminosa nostalgia.
Sono costantemente stimolato da tutto ciò che per me ha un peso specifico e lo spingo, con violenza, all’interno del mirino attraverso cui decido cosa tenere – dentro e fuori – a mio piacimento. Essere in grado di reinventarne una personale chiave di lettura, poi, è compito mio. Con esuberanza credo di non avere mai avuto problemi in questo. Ho un sentire profondo, più o meno modesto, che è il mio valore di rappresentazione costante il quale mi consente di stare lontano dal – duplicato- e compiere passi svelti in avanti».
ll nostro “agire” pubblico, anche con un’opera d’arte, travolge il nostro quotidiano, la nostra vita intima, i nostri sentimenti o, meglio, la riproduzione di tutto ciò che siamo e proviamo ad apparire nei confronti del mondo. Tu ti definisci un’artista agli occhi del mondo?
«Sono un solitario, un appassionato, Uno gentile ma ribelle. Non c’è nulla che non sia stato banalmente già scritto e io, come sempre, squisitamente divago».
Quale “identità culturale e pubblica” avresti voluto essere oltre a quella che ti appartiene?
«Forse Cortàzar: “La vita sta lì, alla portata del salto che non facciamo”. Ma pure X. Dolan – L’ENFANT PRODIGE o Joel Barish accanto a Clementine Kruczynski. Nureyev, Heath Ledger e io di nuovo a vent’anni».
Salvatore Griffini nasce nel 1991. Frequenta l’istituto di comunicazione visiva ILAS, approfondendo le tecniche con il Maestro Ugo Pons Salabelle. Nel 2014 espone alcune sue opere presso il Teatro Mediterraneo di Napoli, nell’ambito delle attività culturali correlate all’annuale Mostra d’ Oltremare. Unitamente ad altri è autore di opere pubblicate a corredo del saggio d’arte storico: I Giardini dell’Arte tra fascino e realtà, da Arshile Gorky a oggi.
Nel 2017 espone al MUEFartgallery, in Roma, il progetto Embrioni. Nel 2018 è in esposizione permanente presso la galleria torinese ACCORSI ARTE. Presente con il componimento poetico PUNTI D’INDECENZA nel volume antologico CET – Scuola autori di Mogol. Nel 2020 pubblica con CAMPANOTTO EDITORE la sua opera prima KRISTIANI – Miele ti è mancato. Nel maggio 2021 espone presso il Sapporo cultural Arts Community Center SCARTS (Giappone). Selezionato dai redattori di ICONIC per il cartaceo del magazine Vol. 2 SKIN OF NATURE – 2020, Num. 003 Issue “THE BLOOMING ISSUE – 2022. Molti suoi lavori presenti sulla piattaforma fotografica di VOGUE, Photovogue.
Tra arti applicate e astrazione: in mostra a Palazzo Citterio fino al 7 gennaio 2026, il percorso anticonvenzionale di una…
A Bari, la prima edizione del festival Spazi di Transizione: promossa dall’Accademia di Belle Arti, la manifestazione ripensa il litorale come spazio…
Il mitico direttore Daniel Barenboim torna sul podio alla Berliner Philharmoniker e alla Scala di Milano, a 83 anni: due…
In mostra da Mondoromulo, dinamica galleria d’arte in provincia di Benevento, due progetti fotografici di Alessandro Trapezio che ribaltano lo…
La Pinacoteca Civica Francesco Podesti di Ancona riapre al pubblico dopo due anni di chiusura, con un nuovo allestimento delle…
Tra intelligenza artificiale, installazioni monumentali e video immersivi, i settori "Zero 10" e "Meridians" mostrano come la fiera di Miami…