Categorie: Il fatto

Non sarà troppo?

di - 11 Maggio 2016
Da ieri è in Israele, per realizzare una serie di interviste per il suo prossimo progetto cinematografico: un film sulla condizione dei rifugiati nella striscia di Gaza, riportando l’attenzione sulla questione israeliana-palestinese. Si parla di centinaia di interviste, e intanto su instagram si sono visti i selfie dell’artista con i giovani di Gerusalemme e della Cisgiordania: ormai un rituale, in tutti i suoi viaggi della speranza.
L’artista cinese, coordinato il viaggio con la società di produzione israeliana Highlight, ha avuto anche una serie di incidenti di percorso: prima l’accesso negato a Gaza, visto che Ai e il suo team non sono considerati giornalisti internazionali, e poi la situazione sbloccata. Prima il rifiuto, visto che la richiesta pare sia pervenuta il 3 maggio scorso, un tempo troppo breve per le formalità di un Paese-extrastato, e poi l’accoglienza. Sarà mica il potere di qualche denaro, che apre tutte le porte e anche i confini?
L’artista pare stia ora raccogliendo informazioni al Centro israeliano per i diritti umani nei territori occupati, per parlare dello stato di entrambi i rifugiati palestinesi, così come rifugiati in tutto il mondo. Insomma, non ce ne vogliano i grandi fan dell’artista, ma tutto ci sembra un po’ alle solite: il passaggio su Instagram, la difficoltà con la politica, i tre giorni mordi-e-fuggi in cui, grazie alla sua celebrità, Ai Weiwei performa “a favore” dei disperati che visita, e poi via una bella installazione o qualche trovata decisamente poco geniale, dalla foto come il piccolo annegato Alan Kurdi alle coperte termiche al gala della Berlinale.
Stavolta, invece, il film. Uscita prevista? 2017. Al volo, verrebbe da dire. Sarà questa grande fiamma dell’impegno civile che non smette di bruciare, o sarà che ormai si tratta di produzione seriale? (MB)

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  • Nel mese di Aprile durante una mia mostra Personale a Dubai alla Sconci art Gallery ha destato tanto interesse l'installazione di 6x2 mt "RESPECT" dedicata alle vittime de mare. In quella occasione ho ripetutamente spiegato che, la mia Opera, non è un attacco ad Ai Weiwei, penso semplicemente sia stato poco corretto usare dei giubbotti di salvataggio di chi è morto o ha cercato la salvezza in mare quando, l'unico suo scopo, non era fare arte ma attirare l'attenzione internazionale su di se su uno dei più grandi problemi del dopo guerra. Situazione che noi Italiani stiamo vivendo in prima linea giornalmente. Francamente io ho un'altro concetto di arte vera. Quella NON era arte ma spazzatura come ho evidenziato nell'installazione. Se voleva esternare al mondo il suo pensiero sul problema profughi bastava andasse in Libia o da dove partono questi profughi. Lui gioca con l'arte e fa politica nel mondo Occidentale, dove oramai esistono Curatori e Direttori di Musei con poca fantasia che danno spazio a queste cose. Francamente la foto del piccolo Aylan di tre anni, scattata sulla siaggia di Bodrum in Turchia dalla fotoreporter Nilufer Demir morto mentre scappava dalla guerra è mille volte più artistica della sua Opera. Quella foto rimarrà per sempre simbolo della crisi umanitaria legata all'immigrazione.

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