Copertina_Stazione Centrale di Milano, Padiglione reale, Salone dei ricevimenti. Civico Archivio Fotografico, Comune di Milano (foto di Antonio Paoletti)
Il Padiglione reale della Stazione Centrale di Milano era stato progettato dall’architetto Ulisse Stacchini come sala d’attesa per il re e la sua famiglia. Non si trattava di sfarzo, per quanto maestoso, né tanto meno voleva essere caratterizzato da una eccessiva pomposità che, agli occhi odierni, potrebbe segnalare solo e soltanto il divario marcato tra aristocratici e popolo. Costruito all’estremità destra del fabbricato laterale della stazione, era adiacente al binario 21 (più tardi noto come via preposta alla deportazione) dove sostava il treno reale. Si trattava, dunque, nella sua originaria concezione, di un mezzo e di un contesto pensato, ottimizzato e ragionato secondo i termini di comodità e di efficienza. Il re era il re ed era necessario trovare una maniera secondo la quale egli potesse accedere al trasporto mantenendo il suo status, ma senza stravolgere la continuità del via vai che già allora distingueva la stazione.
1093 metri quadrati distribuiti tra la sala delle armi, al piano terra, e la sala reale al piano superiore. Una storia che ancora non tutti conoscono vista la poca possibilità di visita, ora rilanciata da una mostra (a Palazzo Reale, Milano, Sala della Lanterna, fino al 29 giugno 2025) e da un volume (Il Padiglione Reale della Stazione Centrale di Milano. Un capolavoro Art Déco, ed. Cimorelli, 2025) promosso da Milano – Cultura con la produzione di Fondazione FS Italiane e Palazzo Reale, nella prospettiva di un utilizzo più proficuo, accessibilità e diffusione della sua conoscenza.
Un luogo che, nella bella e movimentata Milano, non ha forse un ruolo secondario per il suo porsi, oltre che come trascorso di un regno che non esiste più, come uno spaccato nello spaccato del capoluogo meneghino che aiuta a leggere meglio uno dei momenti fondamentali della nostra vicenda. Un passaggio, insomma, che, come riferito dal Direttore Cultura e Direttore di Palazzo Reale Domenico Piraina, riapre lo studio al periodo Art Déco in Italia. Esperienza dal trascorso breve, nonostante la novità della sua linea pulita e la propagazione capillare in diverse parti d’Europa, se si pensa che l’avvento del Fascismo nei primissimi anni Venti già verteva su estetiche di tipo razionale.
Il salotto di rappresentanza era, dunque, una declinazione déco e la “trasposizione di un piccolo palazzo reale all’interno della stazione centrale”, ha affermato Luigi Cantamessa (Direttore Generale Fondazione FS Italiane e Amministratore Delegato FS Treni Turistici Italiani). “Un grandioso palazzo in scala ridotta”, insomma, che se a partire dagli anni Trenta già mostrava la sua unicità rispetto all’insieme strutturale dell’intera stazione, ne era tuttavia connesso con lungimiranza e validità di funzionamento. Prospicente piazza Luigi di Savoia, vi era un accesso preferenziale al Padiglione che poteva così accogliere i reali a mezzo di una viabilità agevole. Severa e déco la sala al pian terreno, con bassorilievi in marmo grigio, ad opera di Ambrogio Bolgiani, rappresentati due aquile e le allegorie delle armi. Di innovazione e tradizione è invece la parte superiore.
Divisa da colonne e pilastri in un’antisala, il salone dei ricevimenti e la sala riservata, mescola con ingegno forme classiche e forme déco tra i fregi in stucco di motivi stilizzati, grandi anfore e una fontana in marmo verde Roja. Nella ripresa dello stile impero degli arredi e del mobilio, ora reinterpretato per stare al passo con la modernità, vincono tra i materiali la noce, l’ebano e il metallo argentato per gli inserti. Per un “punto d’insieme” che, come in ogni regalità, era tenuto a farsi carico pur nell’estetica di ciò che accadeva e di ciò che era stato. Con richiami Art Déco che raccoglievano l’insieme fino a raggiungere le sale d’aspetto di prima e seconda classe, oltre che della terza ancora esistente.
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