Imperfezione
Pubblicità negative, fashion asimmetrico, design teratologico –Gaetano Pesce su tutti-, AI fallibile, non standard architecture. E naturalmente l’arte, con esempi che si possono rinvenire ad ogni angolo. Su questa costellazione imperfetta si concentra Maria Claudia Rampiconi. La ricerca del “particolare esteticamente scorretto” non è un trend passeggero, ma “un’attività intenzionalmente programmata”, differente dal caotico. Una ulteriore articolazione di quell’estetica neobarocca portata alla ribalta da Omar Calabrese.
Ma in questo caso il dato più evidente è che la valorizzazione dell’imperfezione mira a una “naturalità costruita”. E giustamente l’autrice si domanda le ragioni per le quali la Realtà o, meglio, la promessa di realtà è riconosciuta come valore. Una risposta fornita concerne il carattere di individuazione che il difetto conferisce a un soggetto o a un gruppo, rendendolo riconoscibile. Resta il fatto che il difetto diviene un nuovo stereotipo che si va a sostituire alla perfezione zuccherosa che, almeno in campo pubblicitario, dominava incontrastata.
Purtroppo l’autrice talora si inerpica lungo alcune distinzioni forzate, che tentando di articolare la semplice tesi di partenza, finiscono per indebolirla. L’idea di trovare un fondamento teoretico nella semiotica di Greimas era forse
Sono però tutt’altro che infeconde alcune analisi. Per esempio quella concernente la “mut(il)azione corporea”, che permette di distinguere fra eccesso di rappresentazione, che vìola le norme interne all’ambito in cui si esplicita, ed eccesso rappresentato, quando a essere violato è uno o più tabù sociali. Ovviamente nella maggior parte dei casi a essere trasgredito è un livello superficiale e non semantico, con la conseguenza di ampliare certi limiti e(ste)tici, ma certo non di rivoluzionarli. Insomma, le tesi non sono inedite, ma il regesto è ricco e la scrittura brillante, per cui non nasceranno rimorsi dopo la lettura. (m.e.g.)
Multimedia
Uno dei pregi di questo viaggio nelle applicazioni più innovative del medium digitale è quello di fuggire sia i toni apocalittici che il fanatismo, peculiari a molte pubblicazioni sull’argomento. Due posizioni che vanno spesso a braccetto, impegnate a spalancare algidi scenari digitali in cui la presenza umana è appena tollerata, destinata a essere archiviata in favore di forme più evolute. La critica alle applicazioni deliranti sembra insomma concrescere assieme alla fascinazione, come dimostra purtroppo l’ultimo Virilio.
Per quanto siamo ancora lontani dal tentativo di “storicizzare, al di fuori dell’impegno attivista, la storia dell’arte mediatica dal
La ricerca multimediale mira, per semplificare, al sentire multiplo: dall’“architettura umida” (R. Ascott) che –come un organismo– vive di vita propria e risponde, grazie ai suoi sensori, alla presenza dell’uomo, cambiando di colore a seconda del suo stato d’animo, fino agli ambienti video sempre più sensorizzati, in grado di captare ogni pulsazione biologica (compreso il battito cardiaco) e di tradurla in informazione. Kevin Kelly ha osservato che più gli esseri viventi diventano artificiali, più i processi tecnologici si avvicinano alla vita. Interfacce e input informatici, organi di trattazione di dati (immagini, suoni, movimenti), dispositivi ipertestuali e di rilevazione, attivano infatti sistemi di stimolo-risposta che modificano tanto la fisionomia dello spazio sociale che i comportamenti dell’uomo. Una piattaforma per una nuova utopia? (r.v.)
marco enrico giacomelli e riccardo venturi
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