Senza aver paura di cadere in un eccesso di schematizzazione, la fortuna della pittura presso critici e artisti, a partire dal secondo dopoguerra, può essere riassunta nell’alternarsi di vita-morte, morte-vita. E se l’ultima resurrezione è della fine degli anni Settanta, nella nostra contemporaneità si assiste invece a un approccio nei confronti delle pittura –similmente alle altre arti visive– caratterizzato dalla multidisciplinarietà, dall’intersezione di linguaggi e convenzioni eterogenei, cui non sfugge la codificazione dei generi.
È questa la tesi principale di Painting Codes, progetto della Galleria Comunale di Arte Contemporanea di Monfalcone, al quale è seguito lo scorso autunno un interessante volume con una selezione iconografica di cinquanta autori, dove trovano spazio due saggi introduttivi e una ricca dotazione di apparati. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, l’utilizzo di norme e codici nel campo della pittura contemporanea, come scrive Alessandra Galasso, sembra infatti assicurare all’artista maggiore libertà di espressione, poiché i generi sono stati progressivamente adattati e ricontestualizzati. E naturalmente mescolati e declinati con differenti accezioni, tanto più in un momento come il nostro, caratterizzato non più (o non solo) dalla presenza del testo argomentativo con ordine logico e gerarchico delle sue parti, ma dall’ipertesto, per natura acefalo e decostruito. È così che le tele non sono soltanto fonte di polisemia determinata dalle differenti chiavi di lettura ma, essendo pensate e realizzate in maniera ipertestuale, permettono all’osservatore di scegliere il percorso visivo.
In questa maniera si accentua la volontà “di rappresentare i modi e gli stili di rappresentazione” (McEvilley), spostando l’attenzione dall’argomento al dispositivo, in funzione metalinguistica. Saltano i meccanismi che sono stati classicamente alla base della pittura, e il genere diventa un modo di confrontarsi con il passato, con la storia della pittura e non solo, essendo ormai la pratica pittorica evidentemente crossover tra le arti.
La sezione iconografica del volume è suddivisa con otto autori per genere (storia, rappresentazione sacra, paesaggio, natura morta, ritratto e nudo), anche se –come indicato– spesso gli autori potrebbero essere collocati in più categorie. A nomi internazionali conosciutissimi come John Currin, Chris Ofili, Jonathan Meese, Elizabeth Peyton e Jenny Saville, si sono affiancati giovani italiani (Fausto Gilberti, Nicola Verlato, Fulvio di Piazza, Luigi Presicce, Andrea Mastrovito) nel mirabile intento di promuovere questi ultimi che, pur interessanti, spesso faticano ad arrivare alla ribalta internazionale.
Discorso ineccepibile, anche se sembrano fuori luogo artisti mid career come Maurizio Cannavacciuolo e il progetto risulta essere incompiuto in mancanza di un grande editore che permetta una distribuzione sul territorio non solo italiano. A corredo del catalogo, un’interessante raccolta di citazioni sul tema della pittura e una corposa e aggiornatissima bibliografia.
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il peggio della pittura italiana, direi
bruciati a scuola da bonami? e perchè no da sgarbi? ma dai, fate i seri!
una scelta curatoriale che fa eco ai gusti del sommo bonami e che ripropone un'esposizione (diremmo piuttosto mal riuscita) già presentata a monfalcone l'anno scorso, pretenziosa e con didascalie per nulla attente ed esaustive. più che "una selezione di quarantotto artisti, italiani e stranieri, che fanno pittura. ma anche un'anaisi dei codici, dei generi", diremmo "una selezione dei prodotti maggiormente acclamati e venduti nel mondo fieristico".
insomma, la galleria monfalconese sempre più simile ad una galleria privata di serie B e ombra minore del potentato villa manin-bonami.
Finalmente un libro che si occupa SERIAMENTE di pittura