Un’immagine d’altri tempi proviene dalle fotografie che
abbiamo di lui – con quei candidi mustacchi -, in specie grazie a quelle
scattate da Ugo Mulas (riprodotte nel
volume) per il libro del 1967 New York: The New Art Scene. E
almeno una sua frase, ripetuta innumerevoli volte a partire dal 1952, è rimasta
negli annali dell’aforistica: “L’estetica sta all’artista come l’ornitologia
sta agli uccelli”. Detto da chi, fra i
tanti interessi, aveva anche quello per l’ornitologia. Per intenderci: la
critica non è illegittima, ma ha un suo campo d’azione che non può
oltrepassare, pena il ridicolo o almeno l’inefficacia.
E non deve stupire il fatto che la postfazione (traduzione
d’un saggio del 1984) a questa deliziosa “miniatura” sia firmata da Lyotard.
Perché la pittura di Newman è eminentemente filosofica o, per meglio, dire
metafisica. Va da sé, intendendo il termine in senso per l’appunto filosofico e
non “artistico”; insomma, nulla a che vedere con de Chirico.
E nel saggio lyotardiano si rinviene almeno uno
spunto assai interessante: “Non si può, egli scrive [Kant nella ‘Critica del
Giudizio’], presentare nello spazio e nel tempo l’infinito della potenza o
l’assoluto della grandezza, che sono delle pure Idee. Ma si può però farvi
allusione, ‘evocarle’, per mezzo di quella che egli [ancora Kant] definisce una
‘presentazione negativa’”. Una sorta di teologia negativa, che
secondo Lyotard “annuncia le risposte dell’astrazione e del minimalismo per
mezzo delle quali la pittura cercherà di evadere dalla prigione figurativa”.
La risposta di Newman fa parte delle suddette a pieno
titolo. Ma con qualche importante distinguo. In particolare, come emerge dal
testo redatto nel 1945 e intitolato L’immagine plasmica (opportunamente pubblicato prima del breve intervento
del 1948 che dà il titolo al libro), Newman sottolinea a più riprese come
l’astrattismo sia un’arte ornamentale e come ciò sia dovuto a un’errata
interpretazione dell’arte “primitiva”. Quest’ultima utilizza infatti la “deformazione
[…] come mezzo per la creazione di simboli”.
Un’arte astratta propriamente detta deve “saper creare
forme che […] sappiano veicolare un qualche contenuto intellettuale astratto”. Bando all’ornamento geometrico, allo sterile
purismo, al bello fine a se stesso, e bando pure al Surrealismo, “espressione
di natura mondana”. Poiché l’immaginazione
dell’autentico pittore astratto “tenta di penetrare le pieghe segrete
della metafisica. Sotto questo aspetto la sua arte entra in contatto con il
sublime” ed è “una sorta di
logica simbolica”.
Altra opposizione per spiegare il medesimo concetto, con
l’invenzione di un neologismo: plastico vs. plasmico. Vale a dire che v’è una
enorme “differenza tra il vecchio pittore astratto e il nuovi pittore:
laddove il primo si preoccupa del proprio linguaggio, il pittore nuovo si
preoccupa del proprio soggetto, del proprio contenuto di pensiero”. Il secondo è – deve essere – più prossimo all’”artista
primitivo” piuttosto che all’artista
europeo/occidentale.
Il
sublime ora a Modena
marco enrico giacomelli
Barnett Newman – Il sublime, adesso
Abscondita, Milano 2010
Pagg. 96, € 12
ISBN 9788884162496
Info: la scheda
dell’editore
[exibart]
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