Annullata la distanza tra alta e bassa cultura, con un linguaggio diretto e colloquiale, ci si muove con disinvoltura, con una prospettiva transdisciplinare e al di là di una mera visione storicistica.
Fabriano Fabbri, giovane docente all’ateneo bolognese, insieme ad alcuni amici della scuola barilliana e in tempi non sospetti si era occupato di indagare i parallelismi tra arte contemporanea, musica e letteratura (Artbeat, 1999).
Oggi egli recupera un intelligente approccio metodologico per risistemare la storia dell’arte del secolo scorso, risvegliando nei lettori un senso di rammarico nel veder la critica impegnata nelle retrovie della storia invece che nella prima linea dell’arte del secolo XXI, contro l’accozzaglia disordinata del trendismo curatoriale.
Il nostro finisce invece per beccarsi la bacchettata negativa dell’autorevole domenicale del Sole24Ore. Perché nel 2007 le associazioni tra ambiti culturali diversi sono diventate una moda persino abusata e il buon Fabbri ha perso, per così dire, il diritto di prelazione. Ma c’è una bella differenza tra mescolare le carte per trovare una vulgata al turista culturale di bocca buona e inseguire un fil rouge che ha segnato la sperimentazione del passato non tanto remoto.
La storia culturale recente riannoda i suoi fili marginali, segue percorsi alternativi, nei quali si riscattano figure spesso dimenticate, che hanno giocato ruoli fondamentali nella costruzione del gusto. Da Ivan Puni (1892), precursore del ready made nel contesto delle avanguardie russe, a Luigi Russolo (1885), riletto non come pittore futurista ma come sperimentatore nel campo musicale, dj ante litteram e fo
Sullo sfondo troneggia Duchamp, ma le direzioni del ragionamento di Fabbri sono imprevedibili, in continuo contrappunto con le vicende della cultura di massa, secondo la logica ipertestuale: ogni spunto è buono per rimandare altrove, là dove, anche le ricerche più concettuali ed ermetiche, magari a distanza di decenni hanno trovato strumenti e contesti per diventare rassicurante quotidianità.
Il lavoro di Fabbri è rischioso. Il limite del suo volo d’uccello è l’eccesso di semplificazione, della prospettiva teleguidata, che può indurre ad interpretazioni distorte o alla sensazione di aver compreso, attraverso la parte, il tutto. Ma può servire a rimettere in gioco un’altra storia, dove c’è anche un bel pezzo d’Italia. E tanto basta.
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