Categorie: Libri ed editoria

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di - 4 Febbraio 2015
Petrolio italiano, bene comune, volano per l’economia, attrazione turistica: la sfilza di parole e formule utilizzate negli ultimi anni da politici, intellettuali e imprenditori più o meno facoltosi per promuovere e difendere il patrimonio artistico e storico del nostro Paese è lunga, e spesso dettata da ideologismi, interessi particolari o incomprensioni di fondo. Ma a cosa serve davvero il nostro patrimonio artistico e storico? Perché mai dovremmo dedicare ad esso tempo, risorse ed energie?
A distanza di un anno da Le pietre e il popolo, Tomaso Montanari riparte dai medesimi interrogativi che avevano guidato quel (fortunatissimo) lavoro, nel tentativo di delineare una nuova prospettiva attraverso cui guardare il ruolo e la funzione del patrimonio culturale, inteso come tessuto continuo e inscindibile di arte, paesaggio e ambiente.
Organizzato per lemmi che si susseguono in ordine alfabetico, Istruzioni per l’uso del futuro è una sorta di manifesto di questa nuova visione, un testo che prova a costruire «un vocabolario differente, un alfabeto rivoluzionario: un altro modo per guardare alla funzione della cultura». Dalla ‘a’ di “Ambiente” alla ‘z’ di “Zenit”, passando, ad esempio, per “Educazione”, “Finanziamenti”, “Humanitas”, “Musei”, “Spazio pubblico” e “Uguaglianza”, lo storico dell’arte fiorentino passa in rassegna le principali questioni relative al ruolo che la cultura e la conoscenza dovrebbero avere all’interno di una democrazia che possa definirsi tale, facendo appello al presupposto – tanto caro agli umanisti italiani – che l’arte e il paesaggio siano «beni comuni che servono a realizzare il bene comune: che è la civilizzazione».  
Quello di Montanari è un discorso eminentemente politico. E non potrebbe essere altrimenti, data la natura dell’argomento trattato. È politico in senso stretto, perché rilancia, contro il dogma liberista e l’estremismo antistatale – un estremismo bipartisan che accomuna la destra berlusconiana a «ciò che un giorno fu la sinistra, e che oggi si è affidata al neoliberismo ritardatario di un Matteo Renzi» -, il ruolo insostituibile dello Stato nell’opera di tutela e valorizzazione dell’ambiente e del patrimonio storico e artistico. Ed è politico in senso più ampio, poiché lega in modo strettissimo le città d’arte, i musei, le piazze, il paesaggio, le chiese e i palazzi italiani alla formazione e all’idea stessa di uno Stato inteso come comunità di cittadini sovrani. Il patrimonio, sottolinea Montanari, «non è un’entità amministrativa, né una categoria economica: è, letteralmente, il retaggio dei padri, l’eredità delle generazioni che ci hanno preceduti. È ciò che ci definisce come famiglia, come comunità». È  per questo che la Repubblica, nel momento della sua nascita, ha scelto di farsi carico della difesa del patrimonio culturale: l’articolo 9 della Costituzione (“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”) si lega così all’articolo 1 (“La sovranità appartiene al popolo”), «perché, conquistando la sovranità, il popolo acquista anche un patrimonio, quello che un tempo era nella disponibilità del re».

Non si tratta, dunque – come vorrebbe l’insulsa retorica anti-intellettualistica – di difendere una presunta sacralità della cultura ‘alta’, quanto di riprendere «le parole e lo spirito della Costituente», di recuperarne «lo sguardo felicemente presbite, e cioè libero dall’angoscia del presente e capace di guardare lontano», facendo evadere in nostro patrimonio «dalla prostrazione materiale e morale in cui è stato confinato dal totalitarismo neoliberista», spiega Montanari. La sua proposta lavora per contrasti e contrapposizioni forti: alla disneyzzazione delle città, volta a formare spettatori passivi e a soddisfare clienti fedeli, oppone il valore civico del patrimonio culturale, vera e propria leva di democrazia e uguaglianza; alle mostre-evento e all’ostensione dei singoli capolavori-feticci, l’educazione alla lettura dei contesti storici e della relazione tra le opere e l’ambiente («è il contesto» – spiega Montanari – «il vero, inarrivabile capolavoro dell’arte italiana»); alla retorica del sogno e dell’emozione di matrice veltroniano-renziana (che ha segnato, ad esempio, la caccia al fantasma della Battaglia di Anghiari di Leonardo), il rigore della ricerca e la fatica della conoscenza; al marketing dell’industria culturale, la tutela del patrimonio.
Tra i principali meriti del discorso di Montanari – certo non privo di qualche zona d’ombra, in primis la (quasi) totale assenza di riferimenti al contemporaneo –, figura senz’altro il tentativo di scuotere la corporazione degli storici dell’arte, incapace di connettersi al discorso pubblico e di combattere adeguatamente l’opinione ormai comune secondo cui la storia dell’arte, così come l’archeologia o l’archivistica «non sono scienze storiche, né ambiti di ricerca scientifica, ma vaghe approssimazioni, buone per signore sfaccendate o eccentrici benestanti». Allontanare «la pletora di cialtroni che presidia queste materie sui giornali e in televisione» per restituire le discipline umanistiche al dominio della ricerca e della conoscenza rappresenta dunque un passo necessario per riattivare la funzione originaria del patrimonio culturale. I nostri musei e le nostre città, infatti, «non contengono solo cose belle: contengono valori e prospettive che possono liberarci, innalzarci, renderci di nuovo umani, restituirci un’idea dell’uomo e un’idea di comunità che ci permettano di costruire un futuro diverso». In questo senso, sottrarre il patrimonio storico e artistico alla dittatura del mercato è una scelta che equivale «a essere cittadini, e non clienti; visitatori e non consumatori; educatori di noi stessi e non contenitori da riempire». Equivale, in altri termini, a restare umani. Perché, come ricorda Montanari, «diventare, e rimanere, umani è questione di esercizio».
Titolo: Istruzioni per l’uso del futuro. Il patrimonio culturale e la democrazia che verrà
Autore: Tomaso Montanari
Editore: minimum fax
ISBN: 9788875215521
Anno di Pubblicazione: 2014
Euro: 9,00

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