Il punto di partenza è fornito dall’interno della casa di un collezionista americano, esempio del ‘purismo’ di certa architettura contemporanea presuntamente minimalista. Essa – con il suo bianco assoluto, luttuoso e annichilente, sviscerato nei suoi aspetti più terribili già da Melville e Conrad – si configura, agli occhi dello studioso inglese, come la compiuta espressione di una cultura, continuamente affiorante, che non si pone dubbi e che esclude tutto ciò che è al di fuori di sé, compromesso con il ‘mondo’.
Questa cultura ha radici lontane che partono dall’antichità (Aristotele e Platone) e, passando per Charles Blanc e Edwin Abbott, arrivano fino alla nascita del Modernismo (Le Corbusier). La tesi di Batchelor è che, da questo punto di vista, il colore sia stato sempre considerato un elemento eversivo, pericoloso, perturbante e degradante, perciò da controllare rigidamente o da ignorare categoricamente: per dimostrarlo, l’autore indaga a fondo anche lo stretto legame concettuale tra colore e droga, analizzando i testi di Huysmans, Huxley, e persino le copertine dei dischi degli anni Sessanta.
L’ampiezza dei riferimenti è in effetti ammirevole: oltre alla pittura, un posto importante è riservato al cinema (Il mago di Oz, La congiura dei Boiardi, Il corridoio della paura, Il cielo sopra Berlino, Pleasantville), sicuramente il luogo principale in cui cercare il dialogo tra un bianco-e-nero ‘originariamente vero’ e un colore ‘cosmetico’ (Barthes). Anche la filosofia del linguaggio gioca un ruolo fondamentale, dato che svela tutti i limiti e le conseguenze culturali di una designazione puramente verbale del colore.
In conclusione del testo, l’autore studia anche il concetto opposto all’avversione per il colore, la cromofilia. Appaiono evidenti così la riduttività e la banalità dell’associazione tra arte minimal ed eliminazione del colore: Batchelor sfata questo mito storico-critico, dimostrando invece come non solo le tinte tipicamente minimal siano vicinissime a quelle pop, ma soprattutto che proprio negli anni Sessanta si debba individuare una svolta essenziale nell’approccio creativo al colore. Warhol, Stella, Judd, Smithson sono solo alcuni degli artisti che cominciano ad individuare nel colore un privilegiato medium di accesso nel territorio della realtà, e a considerare dunque come una “promessa” ciò che era stato “spesso confuso per una minaccia”.
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christian caliandro
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ciao!
finalmente è stato recensito (uscito un anno fa e passa), a me è piaciuto molto.
ma c'è un neo, alla mondadori mi hanno detto che è fuori catalogo, mannagina, io lo volevo regalare ad un amica, alchè ho ripiegato su "colore" di Boll.....
è piaciuto lo stesso!:)
ciao ciao