Claude Monet, Waterloo Bridge, effet de brouillard, 1899-1903. Christie's
Christie’s rivela un nuovo format, una nuova prospettiva sul mercato. Dopo mesi dominati dalle aste cross-category, dove un tirannosauro vissuto 67 milioni di anni fa ha sfilato senza indugio insieme alle opere di Picasso, Twombly e Rothko, il distaccamento newyorkese sceglie di smussare una volta per tutte ogni confine. E allora via le definizioni troppo rigide, via le etichette che innalzano muri tra moderno e contemporaneo, tra arte impressionista e del dopoguerra: l’incanto del prossimo 11 maggio si chiamerà semplicemente 20th Century Art e vedrà passare sotto lo stesso martello opere dal 1880 al 1980, da Claude Monet a Andy Warhol, enfatizzandone senza limiti la naturale continuità.
È proprio un Monet, in particolare, a catturare la nostra attenzione – e guai a ingabbiarlo in una categoria serrata, adesso. Si tratta di Waterloo Bridge, effet de brouillard e proviene dalla serie dedicata al ponte di Waterloo con cui l’artista, tra il 1899 e il 1904, fissò per sempre i riflessi del Tamigi. La ritroviamo nei musei più famosi al mondo, dalla National Gallery of Art di Washington al Philadelphia Museum of Art all’Hermitage di San Pietroburgo – e, ovviamente, nel dipinto presentato da Christie’s. In ognuno di questi esemplari, l’artista sembra ripetere come un mantra quella confidenza al mercante René Gimpel: «Adoro Londra, è una folla, un insieme, ed è così semplice. Quello che mi piace di più a Londra è la nebbia».
Monet sognava Londra, amava quella città che gli aveva dato rifugio quando, scappato dall’assedio prussiano di Parigi, si stabilì al n. 11 di Arundel Street. Vi tornò più volte nel corso della vita, soggiornando spesso al Savoy Hotel, e la scena del dipinto di Christie’s – dicono gli esperti – è proprio quella di cui Monet godeva dalle stanze dell’albergo. «Amo così tanto Londra!», diceva. La amò sempre tutta, è vero, con la sua nebbia, la sua gente, quelle luci rosa e blu. E la ritrasse proprio così, perfetta in ogni sfumatura, come fosse la sua musa.
«La serie londinese di Monet», spiega nel dettaglio Jussi Pylkkanen, Global President di Christie’s, «segna il raggiungimento della maggiore età dell’artista all’inizio del 1900 e il passaggio a quelli che oggi chiamiamo i grandi movimenti d’avanguardia del XX secolo. Lo definiscono un maestro delle armonie di colore e un uomo che poteva trasferire su tela le sue ambizioni visionarie. Questo dipinto è una sinfonia visiva realizzata in delicati strati di colori accuratamente miscelati nel corso di innumerevoli sessioni in studio. Non ha mai dipinto meglio. Le sue immagini del ponte di Waterloo annunciano l’inizio della pittura non oggettiva nei loro superbi passaggi di applicazione della pittura astratta e la loro capacità di suscitare una profonda risposta emotiva da parte dello spettatore».
Ma non finisce qui, perché Waterloo Bridge vanta un curriculum di tutto conto. Sul comunicato di Christie’s, leggiamo che «è stato uno dei primi dipinti londinesi di Monet ad entrare in una collezione americana, acquistato all’inizio del 1905 dalla pioniera poeta vincitrice del Premio Pulitzer, Amy Lowell» e «rimase per discendenza alla famiglia Lowell fino al 1978». È stato esposto, tra l’altro, alla celebre retrospettiva del Boston Museum of Fine Arts, organizzata l’anno successivo alla morte dell’artista.
La stima? Attualmente risulta su richiesta, ma la maison indica $35 milioni come cifra indicativa. Al momento i traguardi d’asta di Monet sono stati fissati dalla serie dei Covoni, con un esemplare che nel 2019 ha totalizzato $110,7 milioni (Sotheby’s New York). Ma come ripetiamo sempre, «comprare all’asta significa pagare un’opera più di quanto le persone in sala pensavano potesse valere» (D.Thompson); e allora non è detta l’ultima parola per il nostro rarissimo Waterloo Bridge. Appuntamento all’11 maggio.
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